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lunedì 21 gennaio 2008

«Naomi con Chavez? Ma se è gay»

(Il Messaggero) Mentre continua il tormentone sulla presunta relazione fra il presidente venezuelano Hugo Chavez e la modella Naomi Campbell, oggi uno dei più autorevoli commentatori del principale quotidiano colombiano, El Tiempo di Bogotà, irride alla vicenda, rilanciando una tesi emersa in Spagna mesi fa, e secondo cui il leader venezuelano non può essere il rubacuori audace descritto dalla cronaca rosa, perché sarebbe gay. D'Artagnan, questo il nome con cui firma i suoi commenti domenicali Roberto Posada Garcia-Pena, assicura che l'omosessualità, o almeno la bisessualità di Chavez, «non è una barzelletta da parrucchiere o frutto di critiche di avversari politici», ma l'opinione di Luis Maria Anson, membro della Real Accademia spagnola.

D'Artagnan sottolinea che prima sul quotidiano conservatore ABC, poi in La Razon, Anson si è fatto eco «di quello che molti omosessuali seri sostengono in Internet riguardo al caudillo venezuelano. Assicurano che è gay, anche se questo non è diventato di dominio pubblico». «E sarebbe bene - ha sostenuto - che Chavez dedicasse qualche minuto dei suoi logorroici discorsi a chiarire quello che molta gente assicura nel suo paese».

Ma D'Artagnan ricorda che il leader venezuelano in almeno una occasione ha avuto modo di rispondere ai suoi critici. «Sono sufficientemente macho - ha assicurato - e adesso mancava solo che mi accusassero di essere omosessuale». E poi l'opinionista affonda: «Can che abbaia non morde, e sarà per qualche ragione che le male lingue sostengono che quando era sposato con Maira Isabel, ebbe una relazione amorosa con Diosdado Cabello, attuale governatore dello Stato di Miranda e di cui lo stesso Chavez disse una volta in tv che aveva occhi bellissimi».

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Grande Fratello. Le prime foto del modello.


(River-blog) Il Grande Fratello non mi piace anche se seguo, soprattutto sui quotidiani, le vicissitudini quotidiane dei ragazzi. Oggi, a poche ore dall’inizio del programma, il bravo Davide Maggio - concentrato più sulle anticipazioni televisive che sui commenti - ha scovato i nomi di alcuni concorrenti. Uno di questi, il modello, sarebbe Andrea Bellumore.
La produzione del programma è furiosa. Vedremo se sarà davvero lui.

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Udeur di Mastella fuori dalla maggioranza. E' crisi di governo.

(Asca) Clemente Mastella ha comunicato la sua decisione dopo una lunga riunione dell'ufficio politico del partito tenuta in una sede diversa da quella di Largo Arenula, dove e' giunto intorno alle 18,15 accompagnato dal capogruppo della Camera Mauro Fabris. Mastella e' apparso subito scuro in volto e dopo aver guadagnato l'ingresso nell'appartamento che ospita la sede del Campanile si e' seduto dietro al bancone della sala che ospita normalmente le conferenze stampa con accanto schierato lo stato maggiore del partito.

La comunicazione dell'uscita dalla maggioranza era contenuta in un testo scritto, concordato con l'ufficio politico, che Mastella ha letto ai giornalisti.
La motivazione principale che Mastella ha posto come questione dirimente che lo ha portato a uscire dall'Unione e' la debolezza con cui il centrosinistra lo ha difeso in questa vicenda giudiziaria che ha coinvolto lui e la sua famiglia.

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Bagnasco: «La Chiesa dice sì alla famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna". "Contraria all'equiparazione tra tendenze sessuali e differenze.

L'intervento del presidente della Cei al consiglio permanente dei vescovi italiani.
Bagnasco: voto libero per deputati cattolici.
«La rinuncia del Papa alla Sapienza consigliata dalle autorità italiane». Palazzo Chigi precisa: «Nessun sugggerimento».

(Il Corriere della Sera) Il voto dei politici sia secondo coscienza quando le proposte legislative sono «intrinsecamente inique e in contraddizione con i dettami cristiani». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei (Conferenza episcopale italiana) a Roma, intervento in parte anticipato dall'Osservatore romano. «Non possono esistere vincoli esterni di mandato, il voto di coscienza può e deve diventare una scelta trasversale rispetto agli schieramenti, e invocabile in ogni legislatura», ha aggiunto Bagnasco. «La Chiesa non vuole e non cerca il potere», ha affermato Bagnasco. «La Chiesa vuole aiutare il Paese a riprendere il cammino, a recuperare fiducia nelle proprie possibilità, a riguadagnare un orizzonte comune».

DOPPIO NO - No ai registri delle unioni civili nei Comuni, no ad accorciare i tempi per ottenere il divorzio in Italia, legge in discussione al Senato. Il doppio no della Chiesa è stato ribadito dal cardinale Bagnasco. «La Chiesa dice sì alla famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Per questo si oppone alla regolamentazione per legge delle coppie di fatto, o all’introduzione di registri che surrogano lo stato civile. Conferendo diritti e privilegi ai conviventi, si sottrae di fatto ai diritti e ai privilegi dei coniugi il motivo che è alla loro radice, ossia l’istituto matrimoniale che nessuno può avere l’interesse a rendere inutile o a offuscare con iniziative, quali il divorzio breve, che avrebbero la forza di indurre la deresponsabilizzazione», sostiene l'arcivescovo di Genova.

ABORTO - Sull'aborto non va escluso «almeno l'aggiornamento di qualche punto della legge», dovuto «alle nuove conoscenze e i progressi della scienza e della medicina» e tenendo conto «che oltre le 22 settimane di gestazione c'è già qualche possibilità di sopravvivenza» del feto. È l'appello lanciato dal cardinale Bagnasco.

GAY - «La Chiesa si oppone alle discriminazioni sociali per l'orientamento sessuale, ma è anche contraria all'equiparazione tra tendenze sessuali e differenze di sesso, razza ed età», ha ribadito Bagnasco.

PAPA ALLA SAPIENZA - Secondo il cardinale, la decisione di annullare la visita alla Sapienza non è stata «un tirarsi indietro, ma una scelta magnanima per non alimentare tensioni create da altri». La rinuncia del pontefice è dovuta al fatto che la Chiesa «si è fatta necessariamente carico dei suggerimenti dell'autorità italiana e nasce da un atto di amore del Papa per la sua città», ma è nata da un «clima di ostilità, creato da una minoranza assolutamente esigua di docenti e studenti» (dopo le dichiarazioni di Bagnasco, il governo ha però precisato di non aver mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita di Benedetto XVI).

SFIDUCIA - In Italia, dopo che si sono bloccati «lo slancio e la crescita economica», c'è «paura del futuro e un senso di fatalistico declino», ha aggiunto il cardinale. «Sembra circolare una sfiducia diffusa e pericolosa. L'Italia ha bisogno di speranza».

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Firenze. Tre giorni per i diritti delle coppie omosessuali.

(Une belle histoire) I giorni 25, 26 e 27 Gennaio si terrà a Firenze, con il patrocinio della Regione Toscana e con la partecipazione di "Persona e Danno" un convegno dedicato agli operatori giuridici sui temi dei diritti Lgbt. A segnalarlo è Gian Mario Felicetti, autore del libro "La Famiglia Fantasma" e dell'omonimo blog. A questa tre giorni che avrà luogo al Teatro Saschall, Lungarno Aldo Moro n. 3 (Sabato) e al Teatro Puccini in Via delle Cascine 39 la Domenica, parteciperà anche la Rete Lenford, un gruppo di avvocati disposti ad assistere gratuitamente le coppie gay che da anni si battono per il riconoscimento giuridico delle loro unioni, che per la prima volta si presenterà ufficialmente al pubblico nel pomeriggio di Sabato e durante la Domenica, giorni in cui il convegno è aperto al pubblico delle associazioni, delle coppie o dei singoli cittadini interessati alle questioni dei diritti delle persone non eterosessuali. Durante quest'incontro, che per la prima volta vedrà gli avvocati avvicinarsi uffialmente alle questioni dei diritti GLBT, la Rete Lenford riferirà sulla linea che ha deciso di seguire nel continuare la battaglia per le persone che si sono legalmente unite in altri paesi o che sperano di poterlo fare in Italia: all'incontro con coppie interessate seguiranno una serie di ricorsi contro la mancata pubblicazione degli atti di matrimonio e contro la mancata trascrizione delle unioni civili legalmente contratte all'estero.

Il programma per le giornate di Sabato e Domenica è:
Sabato 26 - Ore 15 - Processo simulato, celebrato con avvocati veri dal titolo "le coppie omosessuali alla sbarra". Sabato 26 - Ore 20 - Rete Lenford inaugura il suo rapporto con la comunità LGBT con una aperi-cena (fino alle 23)

Domenica 27 - Ore 11:00 Tavola di discussione sui temi giuridici piu'importanti per la comunità LGBT. Sabato - Teatro Saschall, Lungarno Aldo Moro, n. 3 Domenica - Teatro Puccini - Via delle Cascine 39 per ulteriori informazioni potete contattare: - Gian Mario Felicetti all'indirizzo famigliafantasma@fastwebnet.it - - la segreteria dell'evento all'indirizzo savrix@tin.it

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Chiesa e governo non convincono gli italiani. Lo dice l'Eurispes.

Sondaggio Eurispes: solo il 25% degli italiani è convinto del governo. 'Tiene' solo il presidente della Repubblica, 'approvato' dal 58,5%. Crolla la fiducia nelle istituzioni. Sotto il 50% anche la Chiesa.

(Rosaria Amato - La Repubblica) Solo un quarto degli italiani ha fiducia nel governo, meno di un quinto del Parlamento. Ma la grave crisi di sfiducia che ha travolto gli italiani negli ultimi 12 mesi, e attestata da un sondaggio pubblicato oggi dall'Eurispes, travolge anche le istituzioni non politiche: meno della metà degli italiani si fida della Chiesa, che arretra di oltre dieci punti, della scuola, della magistratura. Ad aver perso fiducia nella generalità delle istituzioni è la metà degli italiani. 'Tiene' solo il presidente della Repubblica, che gode ancora della fiducia di un'ampia maggioranza dei cittadini (58,5 per cento). Le percentuali sono particolarmente basse tra i giovani.

La fiducia nelle istituzioni. Il 49,6 per cento degli italiani, secondo il sondaggio dell'Eurispes, ha perso fiducia nelle istituzioni. Per il 40,7 per cento la fiducia è invariata, solo per il 5,1 per cento è aumentata. La percentuale di chi crede meno nelle istituzioni è più alta tra gli elettori di destra e di centrodestra (rispettivamente 70,5 e 60,9 per cento). Ma anche gli elettori di sinistra (43,9 per cento) e centrosinistra (39 per cento) si fidano meno. E comunque rispetto ai dati del Rapporto precedente, il senso di sfiducia degli elettori di sinistra è aumentato di 19 punti percentuali.
Governo e Parlamento. Il 75,3 per cento degli intervistati dichiara di avere poca o nessuna fiducia nel Parlamento: rispetto al 2007 si registra un ulteriore calo del 9 per cento; i fiduciosi sono il 19,4 degli intervistati. Solo un cittadino su quattro si fida del governo (nel 2007 la percentuale era del 30,7 per cento. Solo il 14,1 per cento degli intervistati dichiara di fidarsi dei partiti. Ma non sono troppo popolari neanche i protagonisti dell'antipolitica: personaggi pubblici come Beppe Grillo o Nanni Moretti ottengono un consenso di poco superiore al 20 per cento, comunque superiore al 17 per cento medio dei politici di professione.

La magistratura. Anche la magistratura si colloca sotto il 50 per cento: si fidano di giudici e procuratori il 42,5 per cento degli intervistati, più del 2007, comunque (39,6 per cento). I giovani dai 18 ai 24 anni dimostrano ancora meno fiducia nella magistratura (17,3 per cento).
La Chiesa. Tra le istituzioni non politiche scivola sotto il 50 per cento anche la Chiesa, che raccoglie la fiducia del 49,7 per cento degli intervistati (perdendo oltre 10 punti rispetto all'anno precedente). Il 41,4 per cento degli intervistati dichiara di non fidarsi di nessuno.

I carabinieri meglio della polizia. Tra le forze dell'ordine, gli italiani si fidano dei carabinieri (57,4 per cento) più che della polizia (50,7 per cento). Il 46,3 per cento ripone fiducia nella guardia di finanza.

Arretra la scuola. Arretra moltissimo anche la fiducia nella scuola, che si attesta al 33 per cento contro il 47,1 per cento del 2007. Le associazioni di volontariato riscuotono molto consenso (71,6 per cento) ma sempre meno dell'anno scorso (78,5 per cento).

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Gesù. Polemiche per quello gay in Australia mentre in Iran la tv di stato vuole portarlo sul piccolo schermo.

Gesù gay in Australia, scoppia la polemica.
Sedotto da Giuda: infuriati i responsabili della chiesa anglicana. In Iran in arrivo un telefilm su Cristo.

(Elmar Burchia - Il Corriere della Sera) Come scrive quest'oggi il Sydney Morning Herald, il Gesù australiano verrà sedotto da Giuda Iscariota. Nel controverso spettacolo, che nel 1997 era andato in scena negli Usa, Gesù celebra anche un matrimonio gay tra due apostoli. Infuriati i responsabili della Chiesa anglicana australiana che bollano la rappresentazione come "falsa e offensiva".

ATTACCO - «E' un nonsense storico. Non andrò a vederla. La vita è già troppo breve», ha detto l'arcivescovo di South Sydney, Robert Forsyth. La pièce, intitolata "Corpus Christì" è dell'americano Terrence McNally e dovrebbe andare in scena il prossimo 7 febbraio al New Theatre di Newtown nel quadro del Martedì grasso gay e lesbico di Sydney. Il regista Leigh Rowney, che si definisce cristiano, ammette che lo spettacolo possa offendere i credenti ma sottolinea che l'intento è aprire un dibattito in seno alla Chiesa sull'omosessualità. Contrari anche le associazioni delle famiglie che hanno definito tale idea "blasfema".

IRAN - Nel frattempo, il canale di stato dell'Iran vuole portare sul piccolo schermo entro quest'anno per la prima volta un telefilm su Gesù Cristo. A quanto riferisce l'agenzia di stampa iraniana FARS, il progetto televisivo pervede un budget di oltre 3,5 milioni di euro. Sono previste 20 puntate e la sceneggiatura vedrà la vita di Gesù da un punto di vista dei musulmani. Infatti, secondo la dottrina religiosa musulmana Gesù non è altro che un profeta, e non il figlio di Dio. Per girare la serie, "Jesus, the Spirit of God" ("Gesù, lo Spirito del Signore"), tratta dall'omonimo film per il grande schermo, premiato lo scorso anno anche al "Religion Today Filmfest" di Roma, è stato chiamato il regista iraniano Nader Talebzadeh.

MUSULMANI - Il film propone un originale punto di vista sulla vita e sul messaggio di Gesù, facendo incontrare la narrazione cristiana e quella islamica. Il regista è nato a Teheran nel 1953, si è diplomato in letteratura inglese e laureato in regia alla Columbia University negli U.S.A. È autore di molti documentari, e "Jesus, the Spirit of God" è il suo primo film. E' stato proiettato, senza grande successo di pubblico, in soli cinque cinema iraniani durante lo scorso mese del Ramadan. Di particolare c'è che Gesù, come conosciuto dal pubblico occidentale, avrà anche in questo caso capelli biondi e la pelle chiara. Tuttavia, a differenza del film di Mel Gibson "La Passione di Cristo" non ci sarà alcuna scena della crocifissione. Nel film di Talebzadeh, Dio salverà Gesù dalla croce e salirà direttamente in Cielo.

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Paolo Flores D'Arcais, un pezzo di laicità e il Presidente Napolitano.

"Lettera aperta al Presidente Napolitano" di Paolo Flores d'Arcais pubblicata domenica 20 gennaio sul quotidiano “Liberazione”.

Caro Presidente,
tempo fa, dovendo scriverti per invitarti ad una iniziativa di MicroMega, chiesi tramite il tuo addetto stampa se dovevo continuare ad usare il “tu” della consuetudine precedente la tua elezione, o se era più consono che usassi il “lei”, per rispetto alla carica istituzionale. Poiché, tramite il tuo addetto stampa, mi facesti sapere che preferivi che continuassi a scriverti con il “tu”, è in questo modo che mi rivolgo a te in questa lettera aperta, tanto più che, essendo una lettera critica, mi sembrerebbe ipocrisia inzuccherare la critica con la deferenza del “lei”.

Il mio dissenso, ma si tratta piuttosto di stupore e di amarezza, riguarda la lettera di scuse che in qualità di Presidente, dunque di rappresentante dell’unità della nazione, hai inviato al Sommo Pontefice per l’intolleranza di cui sarebbe stato vittima. E’ verissimo che di tale intolleranza, di una azione che avrebbe addirittura impedito al Papa di parlare nell’aula magna della Sapienza, anzi perfino di muoversi liberamente nella sua città, hanno vociato e scritto tutti i media, spesso con toni parossistici.

Ma è altrettanto vero che di tali azioni non c’è traccia alcuna nei fatti. La modesta verità dei fatti è che il magnifico rettore (senza consultare preventivamente il senato accademico, ma mettendolo di fronte al fatto compiuto, come riconosciuto dallo stesso ex-portavoce della Santa Sede Navarro-Vals in un articolo su Re-pubblica) ha invitato il Papa come ospite unico in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico (a cui partecipano in nome della Repubblica italiana il ministro dell’università e il sindaco di Roma), e che, avutane notizia dalla agenzia Apcom il professor Marcello Cini (già dallo scorso novembre) e alcune decine di suoi colleghi (più di recente) hanno espresso per lettera al rettore un loro civilissimo dissenso.

Quanto agli studenti, nell’approssimarsi della visita alcuni di loro hanno espresso l’intenzione di manifestare in modo assolutamente pacifico un analogo dissenso, nella forma di ironici happening.

Il rettore Guarini ha comunque rinnovato al Papa l’invito, e tanto il Presidente del Consiglio Romano Prodi quanto il ministro degli Interni Giuliano Amato hanno esplicitamente escluso che si profilasse il benché minimo problema di ordine pubblico (malgrado la campagna allarmistica montata dal quotidiano dei vescovi italiani, “L’Avvenire”, rispetto a cui le dichiarazioni di Prodi e Amato suonavano esplicita smentita). Nulla, insomma, impediva a Joseph Ratzinger di recarsi alla Sapienza e pronunciare nell’aula magna la sua allocuzione.

Di pronunciare, sia detto en passant e per amore di verità, il suo monologo, visto che nessun altro ospite contraddittore o “discussant” era previsto, e un monolo-go resta a tutt’oggi nella lingua italiana l’opposto di un dialogo, checchè ne abbia mentito l’unanime coro mediatico-politico (che di rifiuto laicista del dialogo continua a parlare), a meno di non ritenere che tale opposizione, presente ancora in tutti i dizionari in uso nelle scuole, sia il frutto avvelenato del già stigmatizzato complotto laicista.

Tutto dunque lasciava prevedere che la giornata si sarebbe svolta così: mentre Benedetto XVI pronunciava il suo monologo nell’aula magna, tra il plauso deferente dei presenti (e in primo luogo del ministro Mussi e del sindaco Veltroni), ad alcune centinaia di metri di distanza alcuni professori di fisica avrebbero tenuto un dibattito sui rapporti tra scienza e fede esprimendo opinioni decisamen-te diverse da quelle del regnante Pontefice, e ad altrettanta debita distanza qualche centinaio di studenti avrebbe innalzato cartelli di protesta e maschere ironiche. Ironia che può piacere o infastidire, esattamente come le vignette contro il profeta Maometto, ma che costituisce irrinunciabile conquista liberale.

Dove sta, in tutto ciò, l’intolleranza? E addirittura la prevaricazione con cui si sarebbe messo al Papa la mordacchia (secondo l’happening inscenato in aula magna dagli studenti di Comunione e liberazione)?

A me sembra che intolleranza – vera e anzi inaudita – sarebbe stato vietare ad un gruppo di docenti di discutere in termini sgraditi ai dogmi di Santa Romana Chiesa, e ad un gruppo di studenti di manifestare pacificamente le loro opinioni, ancorché in forme satiricamente irridenti. Se anzi di tali divieti si fosse solo fatto accenno da parte di qualche autorità, credo che un numero altissimo di cittadini si sarebbe sentito in dovere di rivolgersi a te quale custode della Costituzione, con toni di angosciata preoccupazione per libertà fondamentali messe così platealmente a repentaglio. Ma, per fortuna (della nostra democrazia), nessun ac-cenno del genere è stato fatto.

Il Sommo Pontefice non era di fronte ad alcun impedimento, dunque. Ha scelto di non partecipare perché evidentemente non tollerava che, pur avendo garanzia di poter pronunciare quale ospite unico il suo monologo in aula magna, nel resto della città universitaria fossero consentite voci di dissenso, anziché risuo-nare un plauso unanime.

Non è, questa, una mia malevola interpretazione, visto che sono proprio gli am-bienti vaticani ad aver riferito che il Papa preferiva rinunciare a recarsi in visita presso una “famiglia divisa” (cioè il mondo accademico e studentesco della Universitas studiorum, la cui quintessenza istituzionale è però proprio il pluralismo delle opinioni). Ma pretendere quale conditio sine qua non per la propria partecipazione un plauso unanime non mi sembra indice di propensione al dialogo bensì, piuttosto, di vocazione totalitaria.

Non vedo dunque per quale ragione tu abbia ritenuto indispensabile, a nome di tutta la nazione di cui rappresenti l’unità, porgere al Papa quelle solenni scuse. Che ovviamente, data la tua autorità, hanno fatto il giro del mondo. Se c’è qualcuno che aveva diritto a delle scuse, semmai, è il gruppo di illustri docenti, tutti nomi di riconosciuta statura internazionale nel mondo scientifico, e che tengono alto il prestigio italiano nel mondo, a contrappeso dell’immagine di “mondezza” e politica corrotta ormai prevalente all’estero per quanto riguarda il nostro paese. Questi studiosi sono stati infatti accusati di fatti mai avvenuti, e insolentiti con tutte le ingiurie possibili (“cretini” è stato il termine più gentile usato dai maestri di tolleranza [Cacciari, ndD] che si sono scagliati contro il diritto di critica di questi studiosi).

Né si può passare sotto silenzio il contesto in cui il monologo di Benedetto XVI si sarebbe svolto, contesto caratterizzato da due aggressive campagne scatenate dalle sue gerarchie cattoliche. Trascuriamo pure la prima, cioè i rinnovati e sistematici attacchi al cuore della scienza contemporanea, l’evoluzionismo darwiniano (bollato di “scientificità non provata” da un recente volume ratzingeriano uscito in Germania), benché il rifiuto della scienza non sia cosa irrilevante per chi dovrebbe aprire l’anno accademico della più importante università del paese.

Infinitamente più grave mi sembra la seconda, la qualifica di assassine scagliata dal Papa e dalle sue gerarchie, in un crescendo di veemenza e fanatismo, contro le donne che dolorosamente abbiano scelto di abortire. Questo sì dovrebbe risultare intollerabile. Se un gruppo di scienziati accusasse Papa Ratzinger, o solo an-che il cardinal Ruini, il cardinal Bertone, il cardinal Bagnasco, di essere degli as-sassini, altro che lettere di scuse!

E perché mai, invece, ciascuno di loro può consentirsi di calunniare come assas-sina, nel silenzio complice dei media e delle istituzioni, ogni donna che abbia deciso di utilizzare una legge dello Stato confermata da un referendum popolare?

Se vogliono rivolgersi alle donne del loro gregge ricordando che l’aborto, anche un giorno dopo il concepimento, è un peccato mortale, e che quindi andranno all’inferno, facciano pure, proprio in base a quel “libera Chiesa in libero Stato” che il Risorgimento liberale e moderato di Cavour ci ha lasciato in eredità. Ma diffamare come assassine cittadine italiane che nessun reato hanno commesso è una enormità che non può essere passata sotto silenzio, e non sono certo il solo ad essermi domandato con amarezza perché, in quanto custode dell’unità della nazione e dunque anche delle sue radici risorgimentali, tu non abbia fatto risuonare la protesta dello Stato repubblicano.

La canea di accuse e di menzogne di questi giorni mi ha portato irresistibilmente alla memoria una piccola esperienza di oltre quarant’anni fa, nel 1966, quando – giovane universitario iscritto al Partito comunista da meno di tre anni – vissi incredulo l’esperienza di un congresso (l’XI, se non ricordo male) di un Partito che si vantava di essere sostanzialmente più libero e democratico degli altri (per questo, del resto, vi ero entrato, come milioni di italiani), in cui Pietro Ingrao, per aver moderatissimamente avanzato l’idea di un “diritto al dissenso” fu investito da una esondazione di critiche e vituperi, compresa l’accusa di essere proprio lui un intollerante!

Con una differenza sostanziale e preoccupante: che allora tale capovolgimento della realtà, versione soft ma non indolore dell’incubo orwelliano, riguardava solo un partito. Oggi investe l’intero paese, la sua intera classe politica, la quasi totalità dei suoi mass-media.

Ecco perché spero che tu voglia prestare attenzione anche all’angosciata preoc-cupazione di quei segmenti laici (o laicisti, come preferisce la polemica corrente) del paese, non so se maggioritari o minoritari (ma la democrazia liberale, a cui ci hai più volte richiamato, è garanzia di parola e ascolto anche per il dissenso più sparuto, fino al singolo dissidente), che ormai vengono emarginati o addirittura cancellati dalla televisione, cioè dallo strumento dominante dell’informazione, e il cui diritto alla libertà d’opinione viene di conseguenza vanificato, mentre ogni tesi oscurantista può dilagare e spadroneggiare.

Con stima, con speranza, con affetto, credimi,
tuo Paolo Flores d’Arcais.

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Il segreto di Laura Morante: non avere rimpianti e piangere per amore.

(Manuela Grassi - Panorama) Dopo più di 50 film, diversi compagni di vita, due figlie, un recente terzo matrimonio, Laura Morante non ha affatto l’aria stropicciata di chi ha vissuto intensamente. La sua pelle ha la stessa setosità della blusa Ferré che l’avvolge: una donna nel pieno della sua bellezza nei saloni del Ritz, l’albergo più glamorous di Parigi. Lancôme, che ha un debole per le brune, l’ha ingaggiata come ambasciatrice di una nuova linea per il viso, Absolue, insieme a Juliette Binoche. “È stata scelta perché è intelligente, bella, impegnata, come tutte le nostre ambasciatrici” dicono i portavoce della casa. A conferma dell’identikit, Morante, appena uscita indenne dall’horror di Pupi Avati Il nascondiglio, è nella capitale francese anche per discutere il suo debutto alla regia: un film scritto con il primo marito Daniele Costantini.

Da grande vuol fare la regista?
Veramente non ci pensavo affatto. Da anni mi diverto a scrivere, a lavorare sulle sceneggiature. Con Daniele avevo fatto un trattamento intitolato Ciliegine, il produttore francese Bruno Pesery, che ho conosciuto recitando in Cuori di Alain Resnais, l’ha comprato e ci ha chiesto una sceneggiatura. E siccome in Europa è difficile trovare un regista per un film scritto da altri, a meno che non sia un film commerciale, Bruno mi ha detto: preferisco che lo faccia tu. Lì per lì mi sono spaventata, poi mi sono affezionata all’idea.
Un film tutto francese?
Lo giriamo a Parigi con attori francesi, per il momento nel cast ci sono Gérard Lanvin, Marina Fois e Pierre Arditi.
Recita anche?
Già, non sarà un po’ troppo?
È una commedia sentimentale? Buffa, drammatica?
Buffa, speriamo. Parla della difficoltà di lasciarsi andare, di dare fiducia agli uomini, un tema che può essere serio.
È vero che le colleghe mandano spie per vedere se si fa qualche ritocco?
Le colleghe non so, ma all’estetista che mi cura da quando avevo 17 anni le clienti domandano: “Dimmi la verità, la Morante è rifatta. No? Non ci credo!”.
La bellezza della sua pelle è genetica?
Credo di sì: mia madre aveva una pelle bellissima, le mie sorelle anche. Quando mi chiedevano qual è il tuo segreto?, rispondevo: bevo, fumo, non dormo mai e piango sempre per amore. Mi sono sempre lasciata molto vivere. Adesso non fumo più, ma certo non mi privo di niente.
C’è chi vive sempre nell’attesa e si risparmia nel presente, e chi si butta e prende tutto quello che gli capita.
Non mi identifico in nessuna delle due scelte. Non importa quante delusioni accumuli, se non perdi la capacità di illuderti. Dico sempre alle mie figlie: guai a rimpiangere di non avere tentato. Lo scacco, i fallimenti, io ne ho una certa quantità alle spalle, non sono un dramma. Drammatico è perdere la capacità di desiderare, sognare. Questa vitalità a me è rimasta sempre.
È un problema per le sue figlie avere una madre bella e di successo?
Le mie figlie sono molto belle, diverse tra loro e da me, hanno tutt’e due gli occhi chiari pur essendo italiane (una è mezzo francese). Nella mia famiglia ci sono occhi azzurri, mia nonna li aveva e anche mia zia (la scrittrice Elsa Morante, ndr). Eugenia ci ha messo del tempo ad accettare di voler fare l’attrice, voleva percorrere una strada sua, ho dovuto dirle: Eugenia, se vuoi fare l’attrice, fallo! Non ti privare, intanto fallo! Poi magari cambi idea.
Ha avuto grandi dolori?
Come tutti, basterebbe la morte di entrambi i genitori, mia madre ha avuto una malattia lunga e difficile. E poi sono stata giovane in un momento in cui essere giovani era estremamente pericoloso. In certi ambienti circolava molta droga, ho visto morire diversi amici.
È stata in analisi?
A Parigi andai da un analista che si addormentava mentre parlavo. Lo dissi alla persona che mi aveva mandato, e quello rispose: è normale! Forse lui era stanco o io noiosa, però mi sentivo sola. In seguito sono anche riuscita a frequentare analisti che non si addormentavano, fatto sta che in questa sceneggiatura ci sono due psicoanalisti…
Si regge saldamente da sola sulle sue gambe?
Insomma, saldamente dipende dai momenti. Sola poi, ho un entourage affettivo molto nutrito. Nove fratelli e sorelle ai quali sono legatissima, pochi amici ma importanti come Agata Cannizzaro, la costumista del mio film, che è qui con me. Penso che nessuno possa procedere da solo nella vita. Poi ho le mie figlie, un marito.
Ha una vita casalinga?
Sì e ci tengo molto. Mi piace molto cucinare e mi piace mangiare bene.
È orgogliosa di essere ambasciatrice di bellezza?
Tutte le persone con cui ne ho parlato hanno detto:
che fico!

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Gesuiti e omosessualità. Un «papa nero» che guarda all'Asia. Richiesta di assoluta fedeltà al Papa e la paura di aperture "inopportune".

Alla lettera del Papa intanto una risposta è arrivata dal provinciale dei gesuiti messicani, padre Juan Luis Orozco: «Obbediamo al Papa ma non siamo guardie svizzere».

(Carlo Marroni - Il sole 24ore) È uno spagnolo di 72 anni il nuovo Superiore generale della Compagnia di Gesù, il cosiddetto "papa nero". Padre Adolfo Nicolas - eletto al secondo scrutinio dai 217 delegati da tutto il mondo dopo una "congregazione" di riflessione e digiuno di quattro giorni - succede al dimissionario padre Peter-Hans Kolvenbach. L'elezione è avvenuta attorno a mezzogiorno nella sede della Curia generalizia di Borgo S. Spirito - segnalata dal suono della campanella - e immediatamente è stata comunicata per telefono al Papa, che l'ha approvata.

L'elezione di Nicolas ha rispettato la tradizione dei gesuiti: il nome del nuovo generale non era mai comparso tra le ipotesi circolate negli ultimi giorni. C'era grande attesa per una scelta importante nel futuro della Chiesa, sia per il rilievo che hanno i gesuiti - che con quasi 20mila sacerdoti è il più numeroso ordine religioso cattolico del mondo (se si considerano separatamente le varie famiglie francescane) – sia per il ruolo che svolgono in alcune aree di speciale interesse per la Santa Sede, in particolare l'Asia. E infatti Nicolas, pur essendo spagnolo (come il fondatore della Compagnia, Ignazio di Loyola), ha un percorso formativo e pastorale tutto asiatico, svolto particolarmente in Giappone.

Laurea in filosofia a Madrid poi studi in teologia a Tokyo, dove viene ordinato sacerdote, un master in teologia sacra alla Gregoriana, di nuovo a Tokyo a insegnare teologia sistematica. Riveste poi gli incarichi di direttore dell'Istituto pastorale di Manila, rettore dello Scolasticato di Tokyo e Provinciale del Giappone. Dal 2004 è moderatore della Conferenza gesuita dell'Asia Orientale e Oceania. Insomma, un profilo che calza a pennello con l'obiettivo della Chiesa di Benedetto XVI di rafforzare la presenza a Oriente, e in particolare in Cina, con la quale è stato avviato, faticosamente, un dialogo che sembra stia producendo qualche risultato. Di Nicolas viene sottolineato che è un sostenitore della "inculturazione", cioè della capacità della Chiesa di saper immergere la propria dottrina nella cultura dei Paesi dove si impianta. Non è una novità che i gesuiti abbiano portato ai vertici confratelli con esperienze in Giappone: da lì veniva lo spagnolo padre Pedro Arrupe, che nel 1981 fu "dimissionato" ufficialmente per motivi di salute, al posto del quale Giovanni Paolo II nominò proprio delegato padre Paolo Dezza, e "vice" padre Giuseppe Pittau, anche lui proveniente dal Giappone, dove aveva insegnato nella stessa università di Nicolas (e di Arrupe). Insomma, la Compagnia riafferma la sua vocazione alla missione, in qualche modo richiamata proprio dal Papa, che a Natale lesse il messaggio di Pace anche in guaranì, la lingua degli indigeni del Paraguay che nel '700 furono il popolo delle Reducciones dei gesuiti, poi massacrato dagli spagnoli.

Ma il Papa ha anche voluto chiarire bene che l'essere preti di frontiera non deve mai portare all'allontanamento dalla gerarchia ecclesiale o generare sbandamenti dottrinari, come accadde con la teologia della liberazione da lui direttamente sanzionata da prefetto della Dottrina della fede. Il concetto è stato ribadito due giorni fa in una lettera al preposito uscente, in cui Benedetto XVI ha chiesto «fedeltà nel promuovere la vera e sana dottrina cattolica», una fedeltà - ribadita anche dal celebre "quarto" voto dei gesuiti, l'assoluta obbedienza al Papa - «di cui la Chiesa ha ancora più bisogno oggi, in un'epoca in cui si avverte l'urgenza di trasmettere, in maniera integrale, ai nostri contemporanei distratti da tante voci discordanti l'unico e immutato messaggio di salvezza che è il Vangelo».

Nelle lettera Ratzinger ha definito «quanto mai utile» una pubblica riaffermazione della «propria totale adesione alla dottrina cattolica», da parte della Compagnia di Gesù, «in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali». Intanto una risposta è arrivata dal provinciale dei gesuiti messicani, padre Juan Luis Orozco: «Obbediamo al Papa ma non siamo guardie svizzere».

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Anche un'orgia nel party di Kate Moss. Sesso, alcool e cocaina gli ingredienti della serata all’hotel Dorchester di Londra.

La modella ha festeggiato a modo suo il 34esimo compleanno.

(Simona Marchetti - Il Corriere della Sera) Sesso, alcool e cocaina, questi gli ingredienti della festa per il 34mo compleanno di Kate Moss, festeggiato il 18 gennaio scorso all’hotel Dorchester di Londra. A detta del domenicale News of the World, che ha fatto il resoconto a luci rosse del party, la modella sarebbe stata coinvolta in un’orgia con altre due ragazze e un uomo nella camera da letto della suite da 2.500 sterline (circa 3.350 euro) a notte affittata per l’occasione, mentre la gente attorno assisteva allo spettacolo sniffando coca e il fidanzato della Moss, Jamie Hince, chitarrista della band The Kills, era in un’altra stanza.

L'ORGIA - «L’orgia era già in pieno svolgimento quando Kate è arrivata nella suite alle 3 del mattino – ha raccontato un infiltrato della festa al tabloid – e dopo essersi fatta un Diamond Chaser, cocktail a base di champagne d’annata e cognac, è andata in camera da letto. Lì si stava svolgendo un altro party, sotto le lenzuola, fra due modelle e un uomo. I tre si stavano baciando e accarezzando ovunque, mentre quattro o cinque persone assistevano alla scena. Allora Kate si è infilata nel letto insieme a loro e i quattro hanno iniziato a stuzzicarsi a vicenda e a pomiciare, poi i baci si sono fatti sempre più appassionati ed è successo di tutto, fatta eccezione per il sesso completo. E non appena la notizia si è diffusa, tutti volevano dare una sbirciatina a Kate».

ALCOL E DROGA - Prima di arrivare al Dorchester, la modella aveva già fatto il pieno di alcool e musica al Punk, un noto nightclub della capitale inglese, insieme con i soliti amici di baldorie, fra cui Bobby Gillespie, Davina Taylor e Kelly Osbourne. Imponente il servizio d’ordine approntato in albergo. «Nessuno poteva entrare nella suite se non era su una lista precedentemente approvata dalla stessa Moss – ha proseguito la fonte anonima – e una volta che siamo stati dentro, il motivo è apparso subito chiaro. C’era cocaina dappertutto e tutti sniffavano, tirando strisce su strisce e usando come base i costosi mobili della stanza. Le luci erano basse e c’erano candele ovunque».

ESAUSTI - Inizialmente, la festa doveva durare 34 ore – una per ogni anno della modella – ma è finita dopo 18, alle 8 di mattina del 19 gennaio, quando un’esausta e ancora un po’ stordita Kate Moss ha lasciato l’albergo per fare ritorno alla sua nuova villa da 8 milioni di sterline (10,7 milioni di euro) di St.John’s Wood. Quanto al conto, solo al Dorchester la modella e i suoi amici si sono scolati 14 bottiglie di champagne d’annata, 4 di vodka e 17 cocktail Bellini, per un totale di 35.000 sterline (poco meno di 47.000 euro).

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In treno, di sera, in compagnia di quattro ultras alla ricerca di facili risse.

Resoconto dettagliato di centododici minuti di viaggio domenicale su un interregioanle Trenitalia.

(Jean Paul Satrape - La manica tagliata) Torno da Rimini dove ho lavorato sabato e dove domenica mi sono concesso una giornata tranquilla. Il mio vagone è vuoto. Alla mia sinistra quattro giovinastri-figli-della-curva. Si insultano, si picchiano, si provocano, prendono in giro il controllore. Con la coda dell'occhio mi controllano cercando una mia possibile reazione, che non avviene. Non reagisco mai all'idiozia, non perché m'intimidisca, al contrario mi diverte, ma per evitare che si trasformi in violenza. che è ciò che questi cercavano. Abbigliati in maniera quasi del tutto identica, età media 28 anni, discorsi vuoti e del tutto privi di senso, farciti di una serie di neologismi ignoti ai più e che fanno del loro sproloquiare un ''gergo'' nel senso peggiore della parola. Si congratulano tra loro per la fantastica ''trasferta'' (e durante il delirante scambio di battute registro una ventina di ''cazzo'', una ventina di ''vaffanculo'' e altreattanti ''succhia, succhia''...), uno di questi poi chiama la madre per avvertirla che non rientrerà a cena. Il cambio di scena è degno del miglior regista. Occhio umido e sguardo umile, voce bassa e rispettosa, scuse sussurrate. Chiuso il telefono è nuovamente il caos. Io sono arrivato e mi alzo. Uno di loro mi sorride e si scusa. Mentre sto scendendo una signora ultracinquantenne abbigliata come una teenagers si lamenta a voce altissima di ''quegli scalmanati che stanno distruggendo il treno'' e ironizza sulla controllora trentenne che non si rende conto di niente. La osservo e mi viene da dirle che nessuna sembra rendersi conto di niente e che per questo l'idiozia è assurta a ruolo di idolo. Ma non mi va di sprecare tempo e me ne vado. Con la consapevolezza che forse sono un po' colpevole anch'io.

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Milano e le "mostre omosessuali" di Sgarbi. Schwarz: sono mostre di valore Attenti alle ingerenze da totalitarismo.

Mostre provocatorie? «Chi non svolge funzioni culturali non può intervenire».

(P. Pan: - Il Corriere della Sera) Ma se il «casus belli» usato dal sindaco per attaccare la politica culturale di Vittorio Sgarbi questa volta non fosse giusto? Se la mostra dei fotografi Joel Peter Witkin e Jan Saudek in programma dal 29 a Palazzo Reale non fosse «censurabile»? A pensarla così è Arturo Schwarz, poeta, collezionista, studioso al quale si devono alcune fra le più stimolanti mostre sulle avanguardie, a Milano dal 1949, dopo la laurea alla Sorbona. «Joel Peter Witkin e Jan Saudek sono artisti di rinomanza internazionale. Anzi, Saudek è il più grande artista Ceco. È uno che ha cambiato il linguaggio della fotografia», afferma.

Witkin è un fotografo nato a Brooklyn nel 1939 da madre napoletana cattolica e padre ebreo russo. Jan Saudek, invece, è nato a Praga nel 1935 e vide i suoi sei fratelli morire nel campo di concentramento. «Di fronte a esperienze come le loro», continua Schwarz, «e ad altre simili, l'ingerenza di uffici amministrativi si chiama nazismo, totalitarismo, fascismo». E aggiunge, un po' fuori di sé (come dice lui stesso): «Qui si fa come Hitler e Mussolini. Chi non svolge funzioni culturali non si può permettere di intervenire per sanzionare l'operato di Sgarbi, al quale nessuno disconosce preparazione».
Ma sono sempre mostre provocatorie… «Io non credo che queste mostre e quelle sugli omosessuali siano da vietare: facciamo lo struzzo e mettiamo la testa sotto la sabbia? Nell'Ellenismo i filosofi erano omosessuali». Ma possono offendere chi ha Fede. «Alcune mostre possono offendere i cattolici, ma l'Italia è laica o è rimasta prima della Rivoluzione francese?»
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Sgarbi. Il critico dal Brasile: «Facciano una verifica al loro cervello».
(Il Giornale) Una roccia, almeno in apparenza. Niente lo scalfisce. Nemmeno quando la notizia arriva dall’altra parte del mondo. L’assessore alla cultura Vittorio Sgarbi a San Paolo del Brasile per la mostra Street Art, in cui compaiono anche opere di writer meneghini, è incredulo che la giunta abbia chiesto una verifica sulla sua politica culturale.

Le mostre su Witkin e Saudek sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso, tanto che la giunta ha dato mandato al sindaco di verificare il suo operato. La sua politica culturale non sarebbe in linea con quella della giunta....
«Ah sì, facciano una verifica sul loro cervello. Politica vuol dire avere delle idee, ma loro non ne hanno. Fare una politica di destra vuol dire fare una politica libera. Non sono mai stato così orgoglioso della mia linea culturale - risponde con voce ferma, di chi sa il fatto suo - libera da pregiudizi di qualsiasi tipo e che proprio in forza della sua libertà può spaziare da Balla a Serafini, passando per Bacon e per Witkin, uno dei fotografi più grandi di tutti i tempi, che non ha certo bisogno della legittimazione del sindaco e dei suoi assessori».

Dopo la mostra Vade Retro, però queste sono state considerate delle inutili provocazioni...
«Detta da De Corato che ha fatto dimettere Strehler...La verità è che loro difendono una sorta di bigottismo: appena si allude al sesso, si scandalizzano. Allora censuriamo metà della storia del cinema. La cultura che non provoca, fa dormire. Vogliono cancellare la mostra di Witkin e quella di Saudek, organizzata o con il consolato della Repubblica Ceca? Facciano pure, Milano farà l’ennesima figura di città bigotta che censura. Cultura non vuole dire nascondere le cose e il mio programma culturale parla da solo: ho fatto mostre di primo livello ed esposizioni fotografiche che rappresentano una visione del nostro tempo».

Si dimetterà?
«Si dimettano i miei colleghi...

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Prodi sotto ricatto. Pecoraro Scanio: "Non mi dimetto per accuse ingiuste mi difendano tutti o sarà crisi".

Pecoraro Scanio accusa Dini: mi definisce uomo dei no, come la propaganda berlusconiana. Il ministro dell´Ambiente: il premier dica se c´è la maggioranza.

(Gianluca Luzi - La Repubblica) Il ministro accusa: «Abbiamo colpito interessi così forti che ce la vogliono far pagare. Dell´emergenza rifiuti non gli importa niente: è la testa di Prodi che vogliono». Avverte: «Siamo al momento della verità. I tempi sono stretti ma ormai la situazione non è più rimediabile. Il presidente del consiglio dovrà fare tutte le sue verifiche per trarre le conclusioni». Attacca Dini e altri alleati: «E´ assurdo che esponenti del centrosinistra vadano appresso alla propaganda berlusconiana associandosi all´opposizione». Si stringe a Prodi: «Ha sempre condiviso tutto quello che ho fatto. E´ l´unico che può riprendere in mano la situazione e verificare se c´è ancora una maggioranza». E infine avverte: «Prima di mercoledì voglio sentire che tutto il centrosinistra appoggia la mia politica ambientale. Altrimenti non si arriva nemmeno al voto». Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell´Ambiente, sul banco degli imputati (ma non da solo) per l´orrore dei rifiuti in Campania, è un fiume in piena. Mercoledì al Senato si vota una mozione di sfiducia del centrodestra. Dini ha già detto che non lo difenderà. In gioco non c´è solo il ministro dell´Ambiente, ma tutto il governo.
Ministro, che fa, aspetta il giorno del giudizio senza combattere?
«Dopo gli ultimatum di Dini e di Mastella, e l´uscita di Veltroni che non ci vuole più come alleati, il problema è politico. Ci chiediamo e chiederemo a Prodi di verificare prima del voto di mercoledì se c´è ancora una maggioranza che sostiene un governo dell´Unione. Il problema non è più quello dei rifiuti o il ministro dell´Ambiente. Ogni cosa diventa uno strumento per cercare di affossare Prodi. Allora è giusto che si capisca chi ci sta e chi no».
Ma nel suo caso la sfiducia viene dal centrodestra.
«Quella mozione non fa riferimento a nessun mio atto ministeriale, piuttosto mi si contesta il fatto che ho bloccato la truffa del Cip6 in cui i soldi per l´energia solare venivano dati ai petrolieri, che non voglio fare il Ponte sullo Stretto e le centrali nucleari, cosa che è nel programma di governo. Se vengo attaccato perché ho cercato di svolgere una funzione di argine a un meccanismo di affari e di ecomafie e non ho la solidarietà della coalizione, se la maggioranza non ritiene che bisogna difendere una cultura ambientalista di fronte agli affaristi, ai palazzinari e alle ecomafie, che senso ha per i verdi partecipare a una maggioranza del genere?»
Dini non l´appoggerà, ma ha detto che Prodi si può salvare se si rimetterà all´aula e non difenderà in prima persona la sua politica ambientalista.
«Ma nemmeno ci arriveremo a una situazione del genere. Prodi ha sempre detto con molta chiarezza che ha condiviso passo dopo passo tutta la politica del ministero dell´Ambiente in questi venti mesi. Tutta. Non esiste l´ipotesi che la vicenda sia un fatto personale del ministro, perché noi siamo dentro una coalizione e tutte le posizioni che io ho preso sono state condivise dal presidente del consiglio. Quindi questa ipotesi non c´è: se la maggioranza difende le posizioni a tutela dell´ambiente contro strumentalizzazioni, affaristi e camorristi, bene. Altrimenti significa che non vogliono più i verdi nel governo».
Ha pensato a dimettersi? In fondo l´ha fatto anche Mastella.
«E perché? Io non sono certo sotto inchiesta, ma attaccato dall´opposizione che non chiede le dimissioni di Cuffaro, condannato a cinque anni. Francamente non ho proprio ipotizzato le dimissioni perché non mi ritengo assolutamente responsabile. In questi giorni sto lavorando per risolvere il problema dei rifiuti e giovedì scorso ho firmato un accordo con l´Anci per inviare in Campania 60 esperti per la raccolta differenziata per aiutare De Gennaro. E´ ovvio però che se ci fosse la rottura e il problema venisse dal fatto che la coalizione non crede nelle scelte ambientaliste, allora il problema non sarebbero più le mie dimissioni, ma la chiusura dei rapporti. Se non ci fossero le condizioni per i verdi di continuare la battaglia contro affaristi e camorristi, io non resterei un minuto di più a fare il ministro dell´ambiente».
Lobby, affaristi, ecomafie. Ma non le sembra che ormai si grida al complotto con troppa facilità, magari per mascherare errori?
«In questa settimana sono stato attaccato in modo disgustoso da quei poteri forti che nel nostro paese non sono stati mai abituati ad avere un ministro dell´Ambiente che facesse rispettare le leggi dello Stato e le direttive europee. Questa è la verità. Io non tollero che mentre il premio Nobel per la pace Pachauri, presidente dell´Ipcc, viene a trovarmi al ministero per ringraziare l´Italia per la svolta che abbiamo dato in materia ambientale e un altro premio Nobel come Rubbia torna a collaborare gratuitamente con me, a livello nazionale esponenti del centrosinistra vanno appresso alla propaganda berlusconiana. Che nel centrosinistra facciano l´occhiolino alle posizioni affaristiche non è tollerabile».
Ma almeno sulla Campania qualche errore riconoscerà di averlo fatto.
«Dovevamo essere ancora più rigorosi con i nostri alleati e la nostra coalizione, ancora più netti. Come ministro dovevo chiedere a Prodi di avere poteri straordinari per imporre la raccolta differenziata. Solo ora ho ottenuto che si commissarino i Comuni che non la fanno».
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Unione, è scontro su Pecoraro Veltroni: dal Pd pieno sostegno.
Referendum, Rutelli avverte: si rischia il voto anticipato.
(Giovanni Casadio - LA Repubblica) Non è certo tranquillo, Romano Prodi. Il premier è tornato a Roma da Bologna in serata, preparandosi alla settimana di passione che attende il governo, forse la più difficile da quando è stato eletto. E non è il momento di aggiungere altra benzina sul fuoco. Perciò sulla rotta annunciata da Walter Veltroni per il Pd, di fare cioè «correre da solo» il partito alle prossime elezioni, non si intromette: «Il mio compito è guidare il governo, non è definire la linea del partito. È offrire al Pd un programma e una piattaforma di governo in cui si identifichi. Il resto è una decisione degli organi operativi del partito». Tuttavia, due cose gli stanno a cuore: innanzitutto, che il Pd deve unire e non dividere. «La missione del Partito democratico è di comporre insieme tutte le forze riformiste» e di «riconciliare le forti tensioni che ci sono in Italia in questo momento». Perché, aggiunge, è un partito che nasce «con il compito di una larghissima rappresentanza nel paese, non credo nei partiti organizzati dall´alto, padronali». E poi, rivendica il suo ruolo di tessitore in una coalizione disomogenea, e che non vorrebbe vedere il suo sforzo sprecato: «Non c´è contraddizione tra un Pd forte e orgoglioso della sua diversità e un Pd che aderisce a una coalizione».
A tenere sul filo il governo è soprattutto la mozione di sfiducia al ministro dell´Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, in Senato mercoledì, per l´emergenza rifiuti in Campania. Dini ha detto ieri al Corriere della Sera che non la vota. Clemente Mastella rincara: «A questo punto, penso sarebbe più decoroso se Pecoraro si dimettesse». A Pecoraro arriva intanto l´appoggio di Veltroni: «Il Pd esprime con forza il sostegno al ministro e respinge il disegno strumentale del centrodestra». A Palazzo Chigi sanno che la partita è complessa e che mercoledì bisogna «fare bene i conti». L´Udeur ad esempio, valuterà come votare, spiega Mauro Fabris: «Vediamo quello che succede alla Camera martedì nel voto sulla giustizia». Ad accrescere il bailamme, si aggiunge la tensione tra il vice premier Francesco Rutelli e i Verdi. Si sentono offesi dalle parole in tv alla trasmissione "In mezz´ora" del vice premier che parla di «fondamentalismo negativo» degli ambientalisti nostrani su rifiuti e termovalorizzatori e che ha difeso il "governatore" della Campania, Bassolino dimenticando Pecoraro. «Rutelli vuole forse i Verdi fuori dall´Unione?», dichiarano Angelo Bonelli e Loredana De Petris. I toni si fanno aspri, ma una nota dell´ufficio stampa di Rutelli precisa che le preoccupazioni sono «ingiustificate».
Domani poi, l´Unione affronta anche la riforma elettorale e ricomincia a discutere della "bozza Bianco" nell´assemblea dei senatori del Pd dove ci sarà anche Veltroni. Una mina vera. Il vice premier Rutelli ribadisce che «se non si fa una riforma elettorale civile, condivisa, efficace penso che il referendum possa portare alla fine anticipata della legislatura». Riformare insomma la legge elettorale per via referendaria, equivarrebbe a un harakiri per la legislatura. «Terrorismo politico», replica Giovanni Guzzetta, presidente del comitato referendum. Mastella non risparmia critiche al governo: «Non si può far finta di niente ma non abbiamo ancora deciso nulla». E a Veltroni: «Da solo alle elezioni fa come De Coubertin», partecipa non vince. Il centrodestra vede avvicinarsi le elezioni, lo stesso leader dell´Udc, Casini giudica «probabile che cada e che si vada alle urne». Ma Bossi: «Meglio il referendum che la bozza Bianco».

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Prodi: tra rifiuti, giustizia e riforme, la settimana a ostacoli del governo.


(Panorama) Inizia oggi un’altra settimana al cardiopalma per il governo Prodi. In Parlamento sono previste votazioni che potrebbero rivelarsi a rischio per la tenuta dell’esecutivo.

‘’Sarà una settimana insidiosa - avverte il vicepremier Francesco Rutelli - anche se ho fiducia che si concluderà bene'’. Non tutti ostentano lo stesso ottimismo. Per il centrodestra il premier ha le ore contate. Da martedì infatti, osserva il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, ‘’ogni giorno potrebbe essere buono per far cadere il governo'’.
Il primo appuntamento caldo è martedì 22. A Montecitorio Prodi dovrà vedersela con la Giustizia. In qualità di Guardasigilli ad interim dovrà far votare dalla sua maggioranza la Relazione annuale sulla giustizia messa a punto da Clemente Mastella prima di lasciare il suo incarico perché colpito dal ciclone giudiziario che ha travolto mezzo Udeur in Campania.
Gli esponenti del Campanile sul punto sono stati molto chiari: il voto dell’Unione dovrà essere non solo sulla relazione scritta, ma anche su quanto detto dall’ex ministro in Aula. Il che significherebbe sottoscrivere un durissimo attacco alla magistratura, cosa che alcuni partiti del centrosinistra, a cominciare dall’Idv di Di Pietro, non ci pensano proprio a fare.

Se Prodi riuscirà a ricomporre questa frattura lavorando ad esempio di cesello sul contenuto e sulle parole usate nella risoluzione, il giorno dopo al Senato lo attendono le forche caudine della mozione anti-Pecoraro. Ma non sarà quello l’unico scoglio.

Mercoledì 22 gli appuntamenti clou alla Camera Alta sono due: in Aula e in commissione. In Aula dovrà essere votata la mozione di sfiducia presentata dal centrodestra contro il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. Il leader dei Verdi dovrebbe dimettersi dal governo, sostengono, per la vicenda dei rifiuti in Campania. I tre diniani hanno già annunciato il loro no al ministro. E la circostanza non fa ben sperare il governo che può contare su una maggioranza risicata.

La seduta sarà nel pomeriggio visto che al mattino è prevista alla Camera la celebrazione, alla presenza del Capo dello Stato, dei 60 anni della Costituzione. Prima che l’Aula discuta la mozione, però, la commissione Affari Costituzionali dovrà votare la bozza Bianco sulla legge elettorale. E anche in questo caso, soprattutto dopo la sfida lanciata da Veltroni di far correre il Pd da solo, sarà un incognita. I nervi sono tesi e i veti incrociati si sprecano. ‘’Confido nella capacità di mediazione di Prodi - conclude Rutelli - che è riuscito sempre a cavarsela anche in situazioni peggiori di questa…'’. Peccato che proprio lui, intervistato in tv da Lucia Annunziata, abbia dichiarato: ‘’Se non si fa una riforma elettorale civile, condivisa, efficace, io penso che il referendum possa portare alla fine anticipata della legislatura'’.

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Bellezze: Guilherme Duprat.


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Rai. Cossiga si autodenuncia, "raccomandai Federica Sciarelli e Bianca Berlinguer".

(Apcom) Il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, si autodenuncerà lunedì ai carabinieri per aver commesso fatti analoghi a quelli imputati dalla procura di Napoli a Silvio Berlusconi per la famosa telefonata con Agostino Saccà. "L`illuminazione - racconta in un'intervista al Giornale - mi è venuta dopo la richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi". Dopo la vittoria del centrosinistra, afferma Cossiga, "intervenni a favore di Donna Bianca Berlinguer, ovvero di mia nipote, perché le fosse assicurata una posizione di maggior rilievo nel Tg3, e della signora Federica Sciarelli, già peraltro premiata con l`affidamento della conduzione della brillante trasmissione 'Chi l`ha visto?'. E ciò al fine di rafforzare la sua influenza nella Rai".

Le interessate negano, ma Cossiga insiste: "La signora Sciarelli venne a chiedere che intervenissi sul capo del personale affinché le fosse aumentato lo stipendio. Donna Bianca Berlinguer venne a chiedere una posizione più eminente" precisa l'ex presidente ammettendo che le "raccomandazioni a favore di Donna Bianca Berlinguer non partorirono alcun risultato positivo. Quelle a favore della signora Sciarelli ebbero sul piano economico un risultato largamente positivo".

"Nelle campagne elettorali tutti usano le raccomandazioni. D`altra parte mi sa dire uno che in Rai non sia raccomandato? Io non ne conosco" prosegue il senatore citando, tra i suoi raccomandati, Giuseppe Fiori "che poi ha scritto libri bellissimi anche su Enrico Berlinguer. Fui io a farlo assumere alla Rai di Cagliari e poi a farlo trasferire a Roma".

Sulle vicende Rai, secondo Cossiga, c'è un velo di ipocrisia e nessuno parla apertamente di raccomandazioni "perché per fare politica, saper dire bugie non è necessario ma è utile. Anzi essere ipocriti è utile".

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Il backstage della sigla della gay fiction "Gli amici di Oskar".

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Poltrone. Pressioni su Pecoraro per un "passo indietro". Il ministro verde però punta i piedi.

(Goffredo De Marchis - La Repubblica) «Un´uscita curiosa. Diciamo che non è in linea con quello che ci eravamo detti nell´incontro di venerdì». Un po´ sarcastico e un po´ sorpreso, Massimo D´Alema ha mal digerito le parole di Waler Veltroni su un Pd che va alle elezioni, comunque e dovunque, da solo. «Non mi convince soprattutto la tempistica - spiega ai suoi collaboratori -. Le alleanze si decidono quando si va a votare e quando si sa con quale sistema. Non adesso. Adesso è il momento di mettersi pancia a terra per cercare i voti al Senato sulla legge elettorale e sulla mozione contro Pecoraro».
D´Alema in verità la pensa come Veltroni sull´ipotesi di presentarsi in futuro con la stessa squadra di centrosinistra, ovvero con il modello Unione: un´eventualità che non appartiene al novero delle cose possibili. Di questo i due hanno parlato più volte, anche nel faccia a faccia dell´altro ieri. E concordano. Ma i tempi dell´attacco veltroniano non sono giusti, secondo il ministro degli Esteri. Oggi la priorità, se davvero si vogliono fare le riforme, è la sopravvivenza del governo Prodi. E in vista del voto di martedì sulla bozza Bianco la posizione di D´Alema resta quella di non legare il destino delle riforme alle decisioni di Silvio Berlusconi, come invece ha fatto ancora ieri Veltroni.
D´Alema però non crede che gli «strappi» del sindaco di Roma servano ad arrivare alle elezioni anticipate. Al contrario, questa è l´opinione di molti prodiani. Ieri lo ha detto chiaramente Rosy Bindi e lo pensa anche Arturo Parisi. Romano Prodi sa che il messaggio del leader del Pd è rivolto anche a lui. Da tempo Veltroni gli chiede di aiutare il percorso sulla legge elettorale.
Di non mettersi di traverso, oscillando tra la difesa dello status quo per non alterare gli equilibri precari della maggioranza e la tentazione del referendum. «Vuole che la smetta di difendere i piccoli», ha detto il Professore riferendo dei suoi colloqui con il segretario del Pd. La «provocazione» sull´andare da soli, mentre al governo si è in tantissimi e quasi tutti, con l´eccezione del Pd e di Rifondazione, sono schierati contro la bozza Bianco, va anche in questa direzione: chiedere al premier di prendere posizione facilitando il via libera al testo del Senato.
A Palazzo Chigi, le parole di Orvieto, hanno però lasciato l´amaro in bocca: «Avevamo capito, dal colloquio in Campidoglio di venerdì, che anche Veltroni come D´Alema era in trincea per difendere il governo. Forse avevamo capito male. «. Le parole di Prodi sui dati Istat, che Veltroni usa da qualche giorno per descrivere la crisi italiana, fanno capire delle tensioni tra il premier e la leadership del suo partito. Lui nel 2005 non sedeva nella stanza dei bottoni, allora perché buttargli addosso quei numeri?
In questo momento Prodi lavora soprattutto per recuperare voti in vista di mercoledì, giorno del voto sulla mozione di sfiducia contro il titolare dell´Ambiente. Quelli di Dini e dei diniani, di Bordon, di Fisichella, dell´Udeur. Si era immaginata a un certo punto una soluzione sul modello Visco. Il viceministro si era salvato dal voto al Senato grazie al ritiro delle deleghe sulla Guardia di Finanza. Ma Pecoraro non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Anzi, ieri ne ha fatto uno avanti legando la sua sorte a quella di Prodi: «La sfiducia a me significa la sfiducia al governo». E l´idea di Parisi che la sfiducia al ministro non coinvolge l´esecutivo ha fatto andare su tutte le furie i Verdi. Tanto da sollecitare la risposta del capogruppo del Pd al Senato del Pd Anna Finocchiaro che ha garantito la compattezza del voto democratico mercoledì contro la mozione anti-Pecoraro.

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