banda http://blografando.splinder.com

giovedì 22 maggio 2008

Il processo a don Gelmini.

(Sky tg24) Si è aperto, ma è stato subito rinviato il processo contro don Pierino Gelmini. L'ex sacerdote, fondatore della Comunità Incontro, è accusato di abusi sessuali nei confronti di alcuni ospiti della sua struttura ed oggi è comparso davanti al Gup per l'udienza preliminare.
---

---

Sphere: Related Content

C'è una produttrice nel cuore di Jodie e per lei la Foster ha lasciato Cidney.

(TGCom) Spunta la terza incomoda tra Jodie Foster e Cydney Bernard. Alla base della rottura, avvenuta dopo 14 anni d'amore, ci sarebbe infatti la sceneggiatrice Cindy Mort, con la quale Jodie si vede da mesi. La notizia ha sconvolto la Bernard, che ancora condivide la casa con l'attrice e i due figli. La 45enne Foster dimostra di apprezzare le donne mature e in carriera: la sua nuova fiamma ha infatti 51 anni, ed è una produttrice di successo.

Stando a quanto riporta il National Enquirer, la scintilla è scoccata un anno fa, sul set di un film. Da allora Jodie e Cindy si sono frequentate spesso, a dispetto della compagna ufficiale Cidney Bernard, anch'essa celebre produttrice.

Jodie ha cercato di evitare la rottura, ma evidentemente senza successo. E così ha detto addio alla sua storica compagna, con cui ha cresciuto i due figli e con la quale convive. Le due però sono separate in casa: la Bernard ha preso male la notizia di una nuova donna nel cuore di Jodie ed è a pezzi.

A entrambe è chiaro che la relazione è irrecuperabile, ma stanno cercando di evitare uno shock ai ragazzi. "Continueranno a crescere i figli assieme - dice una fonte vicina alla Foster -. Vogliono mantenere una famiglia felice, nonostante la rottura". Jodie starebbe comunque cercando una nuova sistemazione, mettendo così chiaramente fine alla storia con Cidney.

E chissà se deciderà di ricominciare da subito una convivenza con la nuova innamorata: anche la Mort ha due figli, e le due potrebbero formare davvero una bella famigliola...

Sphere: Related Content

Luca Barbareschi sui gay "obbligato" a fare marcia indietro?

GOVERNO/ BARBARESCHI: MAI DETTO CHE BERLUSCONI E' UN 'BACIAPILE'. Deputato smentisce alcuni passaggi intervista a Magazine Corsera.
(Apcom) Il deputato del Pdl Luca Barbareschi smentisce in una nota alcuni passaggi di un'intervista pubblicata sul Magazine del Corriere della Sera. "Non mi sono mai riferito con il termine 'Giri' per nominare l'onorevole Francesco Giro, nell'intervista a Vittorio Zincone pubblicata questa mattina sul Magazine del Corriere della Sera - dice Barbareschi - Ho grande stima di Francesco Giro, neo-sottosegretario alla Cultura, sebbene non lo conosca personalmente. Non vorrei che singole frasi, mai pronunciate nell'intervista, vengano strumentalizzate contro me ed il Governo".

"Quando rilascio delle interviste, vorrei che le mie parole e soprattutto i miei aggettivi vengano riportati correttamente, non utilizzando sinonimi che non rispecchiano in alcun modo il mio pensiero - continua Barbareschi - Non ho mai affermato, come riportato nel titoletto in alto a pagina 96, 'Si alle adozioni Gay. In Europa esistono. Questo è il governo con meno persone che rappresentano il cattolicesimo. Non mi pare Berlusconi sia un Baciapile'. In particolare non ho mai pronunciato la parola 'baciapile'".

"Inoltre non ho mai detto in merito alla domanda sulle violenze ai bambini: 'Ora su questo tema si è svegliato pure Papa Ratzinger', che è una espressione poco riguardosa nei confronti del Santo Padre. Infine - conclude - trovo forte l'espressione riferita all'onorevole Marianna Madia: 'Ad ascoltarla a Porta a Porta qualche giorno fa, mi è venuto naturale difendere il veterano Ciriaco De Mita'. Non esprime il mio pensiero nei riguardi dell'onorevole Madia che, sebbene schierata con l'opposizione, rispetto e spero faccia bene nel corso della Legislatura".

Sphere: Related Content

Continua la polemica con la Ministra Carfagna. Gaypride, interrogazione dei deputati radicali al governo.

I deputati radicali eletti con il Pd Marco Beltrandi, Elisabetta Zamparutti, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci annunciano un’interrogazione a risposta scritta al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro per le Pari opportunità.
(Il velino) “Il neo ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna – spiegano -, ha dichiarato che non è orientata a dare il patrocinio ministeriale al Gay pride nazionale, che quest'anno si svolgerà a Bologna il 28 giugno; viene anche riportata in un articolo sul Corriere della Sera del 19 maggio scorso, una dichiarazione del ministro Carfagna: ‘Io credo che l'omosessualità non sia più un problema. Perlomeno così come ce lo vorrebbero far credere gli organizzatori di queste manifestazioni. Sono sepolti i tempi in cui gli omosessuali venivano dichiarati malati di mente. Oggi l'integrazione nella società esiste...’. Inoltre, con riferimento alla commissione per i diritti dei gay, delle lesbiche e dei trasgender, del ministero per le Pari opportunità, il ministro afferma che: ‘Non ho ancora preso bene visione di cosa sia e a cosa possa servire... La verità è che una volta verificato a cosa serve credo che la userò per occuparmi anche di altro’; il 20 maggio 2008 il Parlamento europeo ha approvato -con 362 voti favorevoli, 262 contrari e 56 astensioni- un rapporto dell'Europarlamentare inglese Liz Lynne, vicepresidente della Commissione europea del lavoro e degli affari sociali”.

“Il rapporto - spiegano nella nota i deputati radicali del Pd - è finalizzato alla proposizione, da parte della Commissione europea, di una direttiva esaustiva che sanzioni la discriminazione nell'accesso ai beni e servizi nelle ipotesi previste dall'articolo 13 del Trattato che istituisce la Comunità europea, e in particolare le discriminazioni nei confronti dei portatori di handicap, per ragioni di età, di religione o fede e di orientamento sessuale”. I deputati radicali chiedono quindi “se il presidente del Consiglio dei ministri consideri propria del governo la posizione espressa dal Ministro per le pari opportunità; quali misure il ministro per le Pari opportunità intenda adottare nei confronti della commissione per i diritti dei gay, delle lesbiche e dei trasgender, del ministero per le Pari opportunità; - se i ministri destinatari intendano regolare, come già è stato fatto in molti paesi europei ed extraeuropei, le convivenze delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trasgender e tutelarne il trattamento nei casi di discriminazione, in conformità agli standard europei; - qual è la posizione del governo italiano rispetto alla direttiva anti-discriminazioni annunciata dalla Commissione europea nel suo programma di lavoro per l'anno 2008 previste dall'articolo 13 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, e in particolare le discriminazioni nei confronti dei portatori di handicap, per ragioni di età, di religione o fede e di orientamento sessuale”.

Sphere: Related Content

Battere cassa. La provincia di Roma patrocina il Gay Pride.

(River-blog) Decisione prevedibile ma non scontata: la Provincia di Roma, su decisione del suo presidente, Nicola Zingaretti, ha concesso il patrocinio al Gay Pride, in programma il 7 giugno, a Roma. Soddisfazione viene espressa dagli organizzatori della Parade romana: “Con la concessione del Patrocinio al RomaPride, così ricco di eventi culturali, cinematografici e teatrali - dice il Mario Mieli - la Provincia di Roma dimostra la propria concreta e chiara sensibilità verso le tematiche del mondo lgbt, rispondendo a piena all’esigenza culturale e democratica dell’affermazione e della rivendicazione di tutte le differenze. Speriamo naturalmente che l’esempio della Provincia di Roma venga presto imitato anche dalle altre Amministrazioni”.

Sulle tematiche Glbt, va detto, l’ente provinciale non ha molto potere. Ma questa decisione ha un grandissimo valore simbolico.

Sphere: Related Content

Il Gaypride dell’Aquila celebrerà i matrimoni gay, lesbo, transessuali con confetti lilla.

Nessuna guerra dei confetti in casa Pelino. Il “marchio” è lo stesso, l’uso profondamente diverso, ma gli affari sono affari. Il Gay Pride dell’Aquila celebrerà i matrimoni gay, lesbo, transessuali ed etero friendly regalando per la prima volta pubblicamente dei confetti color lilla, realizzati dalla famosa azienda di Sulmona: la scorsa settimana, l’onorevole Paola Pelino (Pdl) (nella foto), sorella dell’amministratore della fabbrica, aveva regalato a Berlusconi dei confetti nelle operazioni di voto sulla fiducia parlamentare del governo. Stessa azienda, stessi confetti, colore diverso.
“Assolutamente sì: quelli che ho regalato al Cavaliere a Montecitorio erano di tutti i colori, ma non lilla”, ride divertita l’onorevole sulmonese, pensando anche alle polemiche tra associazioni gay e il ministro Carfagna sul Gay Pride. Il prossimo 1 giugno nel viale all’entrata principale del Castello Cinquecentesco all’Aquila si terranno i matrimoni lgbt, al centro di una festa nella quale sono coinvolti i Verdi Abruzzo, Arcigay “Consoli” e Arcilesbica “Amazzoni”. Nel maggio del 2006 l’onorevole trans Luxuria parlò apertamente di ostilità dell’on. Pelino nei sui confronti: “le ho espresso ammirazione per i tailleur anni ‘30 che indossa e la meravigliosa chioma da Re Leone che la renderà la prossima icona delle drag queen; non mi ha più rivolto il saluto”, aveva raccontato Luxuria. Ora l’azienda di famiglia regala confetti al Gay Pride. Il confetto si chiama “Gay Bride”, ossia sposa gay in inglese, ed è entrato in produzione due anni fa. Colore lilla, mix di mandorle di San Francisco, zucchero di canna del Brasile e vaniglia naturale dei Caraibi. Tra i Paesi che ne fanno più richiesta ci sono, non a caso, l’Inghilterra e la Spagna di Zapatero.
“Dividiamo i due momenti, quello politico da quello aziendale - spiega l’onorevole del Pdl - l’azienda non si pone il problema a chi vendere il prodotto, se c’è la domanda, da qualsiasi parte venga. Porto il massimo rispetto per ogni forma di libertà e diritto, però resto dell’idea che la famiglia è quella tradizionale ... L’azienda ricerca il profitto, la politica deve combattere le discriminazioni, ma poi sceglie, come ha bene spiegato il ministro Carfagna, se patrocinare o meno un Gay Pride”.

Sphere: Related Content

Ferrara. Terza serata di Pridemovies. "Ma la Spagna non era cattolica?"

(Estense.com) La terza proiezione della rassegna di film a tematica gay e lesbica Pridemovies si occuperà della Spagna dell’era Zapatero. “Ma la Spagna non era cattolica?”, il film di Peter Marcias in programmazione questa sera alle ore 21 al Cinema Boldini, traccia un paragone impietoso tra la Spagna e l’Italia, un tempo paesi molto simili; la Spagna dinamica, giovane e in movimento continuo, che ha fatto passi da gigante dal punto di vista economico ma soprattutto per ciò che riguarda le conquiste sociali, e l’Italia chiusa e inchiodata su se stessa, pateticamente bigotta e incapace di qualsiasi slancio.
“Nei giorni di polemica – affermano gli organizzatori - che hanno accompagnato le affermazioni del Ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna, per cui “gli omosessuali non sono discriminati” e “nessun riconoscimento va dato alle coppie omosessuali” l’abisso che ci separa dalla Spagna sembra essere incolmabile”.

Il Governo Zapatero, nel suo primo anno di attività, ha determinato l’approvazione di numerose leggi, alcune di queste riguardano materie particolarmente delicate sotto il profilo etico ed hanno destato (e destano) un grande dibattito sia all’interno del paese che all’esterno. In questo contesto, una televisione spagnola, impressionata dall’interesse suscitato all’estero da questi temi, in particolare in Italia, si è interrogata in relazione alla percezione di queste materie (soprattutto le unioni omosessuali) presso la popolazione italiana. Per questo ha inviato una propria troupe in Italia, precisamente a Roma e nel Lazio, per realizzare un documentario incentrato sulle loro opinioni, in un ambiente intriso di cattolicesimo e vicino, anche fisicamente, al Vaticano. Andrea Miguel Hernandez, regista dell’inchiesta si troverà però catapultato in una situazione a lui molto personale. Una donna che aveva amato a Madrid vari anni prima ora vive a Roma ed è legata sentimentalmente ad una donna...

La rassegna Pridemovies continua con l’ultima proiezione giovedì 29 maggio alle 21 con Riparo di Marco Simon Piccioni.

Sphere: Related Content

I problemi dell’istruttore di guida transex.

(River-blog) Emma Sherdley lavora da dodici mesi in una scuola guida rivolta alle donne: la particolarità di questa struttura del Regno Unito - West Yorkshire - è che impiega esclusivamente donne. In verità Emma non è propriamente una donna: fino ad un anno fa era Andrew, sposato e con due figli. Ha iniziato il percorso per cambiare sesso, e al momento è a metà strada. Un cliente musulmano della scuola guida, però, sta pensando di citarla per danni. Il motivo? Promettono istruttori donne, e, invece Emma non lo è. Il musulmano aveva iscritto la moglie ad un corso di scuola guida. “Mi avete mandato un uomo - ha detto -Ha una voce da uomo: si è solo travestito”.

Sphere: Related Content

E tra i democratici romani le primarie non vanno più di moda.

Nicola Zingaretti

(Filippomaria Battaglia - Panorama) Democratico si, ma fino a un certo punto. Che il rapporto fra primarie e Pd in questi mesi non fosse stato tra i più idilliaci non era certo un mistero: nonostante le ripetute richieste di consultazioni popolari per la scelta dei candidati alla Camera e al Senato, non c’era stato infatti niente da fare. Motivo? Troppo poco tempo a disposizione, avevano commentato i dirigenti del partito di Veltroni. Così, alle scelte di segreteria, si erano aggiunte perfino le polemiche per le decine di candidati paracadutati e “imposti” dal loft (che ai democratici il 13 aprile non hanno portato fortuna, anzi).

Ora, però, il Partito Democratico sembra continuare a marciare nella stessa direzione. L’elezione che incombe, stavolta, è quella del coordinatore laziale, dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti, rieletto presidente della provincia di Roma. E sul metodo che verrà utilizzato? Il primo stop arriva proprio da uno dei diretti interessati: “Sono contrario all’idea di selezionare e scegliere il segretario regionale attraverso le primarie” ha detto ieri Zingaretti. Al suo posto, sarebbe meglio “che venga scelto nell’assemblea regionale costituente perché legittimata dal voto popolare del 14 ottobre e che lo si faccia in tempi certi”.

Per succedergli, i candidati in lizza finora sono quattro: il senatore Luigi Zanda, il deputato Roberto Morassut, il consigliere regionale Mario Di Carlo e l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. Per loro, se verrà confermata la scelta di metodo, più che un viaggio tra “il popolo delle primarie” sarà meglio farsene uno tra i dirigenti delle varie sezioni di partito. Con ogni probabilità, saranno loro infatti a scegliere il nuovo coordinatore.

Sphere: Related Content

Le associazioni gay romane dal sindaco. A battere cassa?

GAY PRIDE/ ARCIGAY: AD ALEMANNO SOTTOPORREMO NOSTRA PIATTAFORMA. "Importante che la sottoscriva come ha fatto Zingaretti".
(Apcom) "Ci auguriamo che l'amministrazione Alemanno prosegua le attività rivolte a lesbiche e gay e possa incrementarle: per questo motivo sottoporremo durante l'incontro la nostra piattaforma presentata già in campagna elettorale: politiche contro il bullismo nelle scuole, supporto alle coppie, supporto per gli immigrati provenienti da paesi in cui sono in vigore pene per i gay, servizi di supporto contro la discriminazione ed attività di monitoreggaio". E' quanto afferma in una nota il presidente di Arcigay, Fabrizio Marrazzo, a proposito dell'intenzione annunciata dal neo assessore alla cultura del comune di Roma, Umberto Croppi di incontrare una delegazione delle associazione lesbiche, gay e trans della Capitale.

"E' importante che il Campidoglio la sottoscriva per migliorare la qualità della vita di migliaia di cittadini romani, prendendo in tal modo impegni precisi cona la città", ha aggiunto il presidente di Arcigay, sottolineando il contributo offerto anche dalla provincia di Roma: "Alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni assumono un significato positivo le parole del Presidente della Provincia Zingaretti che si è impegnato ad approvare a breve politiche di inclusione sociale e contro il bullismo e l'omofobia, a partire dal riconoscimento del valore politico e anche sociale e culturale del Roma Pride, che è un patrimonio importantissimo per tutti".

Sphere: Related Content

Bullismo: Agrigento, gay 18enne denuncia torture da compagni.

(Agr) Un ragazzo di 18 anni di Licata in provincia di Agrigento ha denunciato di aver subito per mesi vessazioni e violenze dai suoi compagni solo perche' gay. I suoi aguzzini sarebbero tre ragazzi e due ragazze coetanei. Ai poliziotti del commissariato il giovane ha raccontato che i suoi compagni gli avrebbero piu' volte spento delle sigarette sulle braccia e gli avrebbero anche piu' volte danneggiato lo scooter.

Sphere: Related Content

Inghilterra, i papà non servono più. Figli in provetta per lesbiche e single.

(Il Giornale) I padri sono stati dichiarati una figura irrilevante nella Gran Bretagna moderna. Il Parlamento ha infatti detto sì alla fecondazione assistita per le donne single o lesbiche, riconoscendo il diritto di procreare anche senza un uomo al fianco.

Il provvedimento parlamentare Nel provvedimento sui temi bioetici votato ieri sera alla Camera dei Comuni, che non ha modificato il limite delle 24 settimane per l’aborto, è stato cancellato un requisito finora essenziale per accedere alle tecniche di fecondazione assistita: i medici dovevano considerare prima di tutto il bisogno e l’importanza, per un bambino, di una figura maschile all’interno della famiglia prima di eseguire il trattamento su una donna. Non era un vero e proprio divieto, ma una clausola con cui spesso i camici bianchi respingevano al mittente le richieste di donne single o coppie lesbische di avere un figlio in provetta. A sorpresa, il Governo l’ha spuntata. Si era preparato, infatti, alla sconfitta, ma per ben due volte la modifica dell’Human Fertilisation and Embriology Bill ha ottenuto la maggioranza, con 75 voti prima e 68 poi. Una modifica non di poco conto, visto che ora la legislazione allargherà i diritti delle coppie lesbiche, a cui l’adozione non è permessa.

Sphere: Related Content

Storica sentenza della Cassazione. Coppie di fatto: Sono una famiglia e hanno gli stessi diritti.

(AdnKronos) Le coppie di fatto? Sono una vera e propria "famiglia". A scendere in campo nuovamente nei confronti delle cosiddette coppie di fatto è la Corte di Cassazione sottolineando che anche chi convive instaura legami di "reciproca assistenza e protezione" al pari di una coppia sposata. Stessi diritti, dunque, e doveri anche per loro, ricorda la Suprema Corte. In particolare, la sesta sezione penale (sentenza 20647), ha sentito la necessità di scendere in campo nei confronti delle coppie di fatto, occupandosi del caso di un 45enne napoletano indagato per maltrattamenti in famiglia nei confronti della convivente "sottoposta per anni a continue violenze fisiche e morali". Antonino B., opponendosi alla custodia cautelare inflittagli dal Tribunale di Napoli nel settembre scorso, in Cassazione ha contestato la sussistenza del reato previsto dall'art. 572 c.p. che punisce appunto i maltrattamenti in famiglia, sostenendo che Vincenza non era la moglie ma soltanto una "semplice convivente".
---

(Agi) La Cassazione spiana la strada per equiparare le coppie di fatto alla famiglia legittima. Infatti chi picchia reiteratamente la convivente si macchia del reato di maltrattamenti in famiglia al pari di un uomo regolarmente sposato. E' quanto affermato dalla Suprema corte che, con la sentenza 20647 di oggi, ha confermato il carcere preventivo nei confronti di un 45enne di Torre del Greco che, per anni, aveva picchiato la sua compagna, dalla quale aveva avuto, peraltro, anche una figlia. "Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia - ecco l'importante approdo giurisprudenziale raggiunto da piazza Cavour - non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di persona convivente more uxorio. Infatti, il richiamo contenuto nel nostro Codice penale alla famiglia deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la famiglia di fatto".

Sphere: Related Content

Bologna. Gaypride, si mobilitano i cattolici di Forza Italia con una contromanifestazione.

Contro il Gay Pride in programma a Bologna il 28 giugno si muovono i cattolici di Forza Italia.
(Dire) Domani sera all'hotel Savoia Contry ci sara' un'assemblea aperta con il vicepresindente della Camera Maurizio Lup (nella foto)i, uno dei maggiori esponenti della componente ciellina nel partito di Berlusconi. E, come spiega l'ex assessore azzurro Paolo Foschini, nell'occasione si parlera' anche della kermesse gay-lesbica, di cui "la citta' non sentiva il bisogno".

Presentando l'evento Foschini (accanto a lui l'altra consigliera ciellina Valentina Castaldini e il consigliere provinciale Giovanni Leporati) ha espresso piena sintonia con il ministro Mara Carfagna, che ha sottolineato il 'no' ad ogni sostegno per il Gay Pride scatenando reazioni nel centrosinistra e tra gli organizzatori.

"E' la dittatura delle lobby, per cui se dici qualcosa di diverso da me mi stai discriminando", spiega Foschini, gia' finito nella bufera qualche tempo fa per aver dichiarato in Consiglio comunale che "e' la natura a discriminare i gay".

"Non tutte le forme di convivenza sono uguali- insiste l'azzurro- le convevienze omosessuali non possono essere paragonate alle famiglie normali. Il fatto solo che si debba specificare 'normali' la dice lunga sullo stato di confusione in cui siamo".

Tra l'altro, assicura Castaldini, "casualmente l'assocazione che organizza il Gay Pride e' appena entrata tra le libere forme associative del Comune, controlleremo ogni giorno che non vengano dati contributi". Foschini ne ha anche per le offerte di alleanza del Pd nei confronti dell'Udc: "Ieri il Consiglio dei ministri di Berlusconi ha preso piu' provvedimenti a favore della famiglia di Prodi e la Bindi in due anni. Su questo dovrebbero riflettere sia la ex Margherita che l'Udc".

Sphere: Related Content

La sinistra a Palermo. "Non capiamo più i poveri". L´autocritica dei salotti rossi.

Pd e Arcobaleno prendono voti nella città-bene ma sono spariti dalle periferie.
(Sandra Rizza - La Repubblica, edizione di Palermo) Lontana dalle fabbriche, vicina al "ceto medio riflessivo". Dov´è la sinistra a Palermo? Tra le terrazze fiorite e i bar alla moda, invece che nelle borgate e nelle periferie. In via Libertà e al Politeama, invece che a Borgo Nuovo e allo Zen. Tra i maitre-a-pensèr della società civile, invece che tra gli operai della Fiat e dei Cantieri Navali. Questa la ragione per cui, secondo illustri esperti e fior di commentatori, il Pd in Sicilia ha perso le elezioni con una forbice da thriller, e la lista Arcobaleno ha dovuto dire addio ai banchi parlamentari.
Le accuse? Sempre le stesse: la sinistra è diventata elitaria e borghese. Beve champagne millesimato e non Tavernello in tetra-pak. Fa militanza party-giana, nel senso di festaiola, piuttosto che attivismo sul territorio. È uno schieramento d´opinione e non di lotta.
Ma come si è arrivati a questo capitombolo sociale e politico? Spiega l´economista Mario Centorrino, ex leader del Movimento dei Professori, che nel 2002 mobilitò la società civile a Palermo a sostegno del centrosinistra: «Prima le fasce più deboli, se non coinvolte in processi clientelari, votavano necessariamente a sinistra. Oggi questa equazione è saltata, perché le fasce più deboli non credono più nella protezione della sinistra. È successo che le risposte ai bisogni primari, gli sfruttati non le cercano più a sinistra, attraverso la difesa dei loro diritti, ma a destra».
È vero dunque che i partiti di centrosinistra rappresentano in città solo una certa borghesia intellettuale? È vero che hanno perso i contatti con la gente che per decenni li aveva votati? «È vero. Sul territorio la sinistra non c´è più - risponde Antonella Monastra, consigliere comunale di ‘´Un´altra storia´´– la vecchia militanza è finita. Nessuno vuole più andare nei quartieri poveri, nessuno ha voglia di girare casa per casa. La discontinuità nel rapporto col territorio rende impossibile interpretare i bisogni della gente, e non costruisce consenso durevole».
Un esempio? Il Pd, alle ultime regionali, ha ottenuto il miglior risultato nella circoscrizione Libertà, cuore della Palermo-bene. È la zona della città dove Antonello Cracolici, rieletto all´Ars, ha preso più voti: circa un migliaio su 4.255. Il salotto sta ormai alla sinistra come la periferia sta alla destra? A Palermo, guai a parlare di salotti, parola che evoca un certo tipo di borghesia reazionaria, capace solo di radunarsi per chiacchierare di bridge, clubini esclusivi, affari e viaggi. «Non parlerei di salotti, piuttosto di luoghi di aggregazione dove il ceto intellettuale, i docenti, i professionisti, quel che resta della società civile responsabile, prova a riflettere su quanto accade in città», dice Rosanna Pirajno, della rivista "Mezzocielo" e componente del parlamentino del Pd. «Noi siamo di sinistra - aggiunge- ma non siamo animali da salotto. Siamo persone che cercano di mantenere vivi i propri ideali, e che sognano una società più solidale. Gente che in questo momento sconta la delusione del flop elettorale e la crisi della partecipazione spontanea, oggi al minimo storico, anche rispetto all´impegno antimafia».
L´accusa rivolta alla sinistra, però, oggi è proprio quella di fare non più attivismo, ma "atticismo" militante, nel senso di attico con vista, ovvero di un certo modo di far politica elitario, snob e con la puzza al naso. È così? «Non voglio sentir parlare di salotti, parola che evoca solo banalità– dice Leontine Regine, ex dei "girotondi" di Palermo, che pure, in passato, ha ospitato nella sua terrazza su piazza Marina il più elitario degli intellettuali di sinistra, Nanni Moretti, ma anche il giornalista Gianni Barbacetto e l´ attore Carlo Cecchi – noi siamo, semmai, la cittadinanza attiva di Palermo: le nostre case private sono diventate luoghi aperti all´aggregazione e all´elaborazione politica; forse gli unici luoghi, visto che i partiti sono sempre più distanti, e la stagione delle grandi assemblee sembra finita».
Gli unici luoghi? E le periferie? E le fabbriche? Dove sono finite le officine della sinistra? Riflette a voce alta Simona Mafai, record di militanza nel Pci (dal ´44 al ´91): «Ma perchè i cosiddetti poveri dovrebbero votare per il Pd? Nel dopoguerra, il Pci offriva alla classe operaia una speranza di riscatto radicale, il sogno di una società dove gli sfruttati sarebbero diventati classe dirigente. Il crollo dell´ Urss ha dimostrato l´impraticabilità di questa utopia. E oggi i ceti diseredati hanno bisogno di soldi, lavoro, sicurezza. E li cercano a destra, presso chiunque promette loro una risposta ravvicinata. Noi parliamo molto di legalità: è una cosa giusta e importante, ma la legalità non è un tema attraente per i più bisognosi». E il Pd? «Unire la soluzione dei bisogni dei ceti più poveri all´obbiettivo di una comunità democratica, solidale e libera (prospettiva meno affascinante, ma più realistica del famoso socialismo) sarebbe il compito del Pd. Ma è un lavoro pratico e ideale tutto da cominciare».
C´è una crisi di linguaggio, dunque, dietro il fallimento elettorale della sinistra, che non riesce a convincere l´elettorato debole, che non riesce a intercettare i bisogni dei quartieri popolari, che non consente alla povera gente di identificarsi con un progetto alternativo di società. Ne è convinta Rita Borsellino che, due anni fa, attorno alla sua candidatura alla presidenza della Regione, ha ricompattato la società civile: «Si è creato uno stacco: la sinistra parla alla fantasia, ai valori ideali, alla coscienza, ma non riesce a parlare ai bisogni. È come se parlasse in latino, che è una lingua ricca di storia, affascinante, ma oggi non serve più».
Non è solo un problema di latino, però. C´è da affrontare la questione della sconfitta di un´intera leadership politica. Renato Ruggero, cardiochirurgo, componente dell´ assemblea costituente del Pd, ha chiesto le dimissioni del segretario regionale Francantonio Genovese («un segretario politico scelto – dice- con un accordo in cui ha avuto un ruolo di primo piano Salvatore Cardinale»), pur accettando di rinviare la resa dei conti a dopo le elezioni provinciali. Quella di Ruggero, esponente della «terza componente» del Pd, che raccoglie i non iscritti, è una critica radicale ai metodi del partito: «La politica del centrosinistra siciliano è la peggiore d´Italia. Il processo costitutivo del Pd qui ha raggiunto il suo punto più basso: solo 5 donne su 21 eletti tra Camera e Senato, di cui una è la moglie di Fassino, e una è la figlia di Cardinale. Altro che apertura ai giovani, alle donne e alla società civile. Qui siamo alle pratiche da tardo impero romano, quando Caligola nominava senatore il suo cavallo». In fondo, che c´è di male? Anche questo, direbbe Veltroni, si può fare.

Sphere: Related Content

Cultura e spettacolo. Montesilvano ricorda Dean Martin.

La proiezione di «Baciami stupido» dà il via oggi al premio intitolato all’attore.
(Pietro Lambertini - Il Centro) «Baciami stupido», film in bianco e nero del 1964, apre oggi alle 21 il premio dedicato a Dean Martin, leggenda del cinema nata a Steubenville nell’Ohio, il 7 giugno 1917, ma originario di Montesilvano. Dino Crocetti, questo il vero nome dell’artista diventato famoso duettando con Jerry Lewis, recitando con John Waine e cantando con Frank Sinatra. Dopo aver lasciato la scuola a sedici anni e aver svolto una sfilza di lavori, dal pugile al benzinaio, la grande occasione arriva nei locali notturni di New York. Montesilvano ricorda così il suo beniamino: «Figlio del compianto concittadino Gaetano Crocetti emigrato oltre oceano, ideale esportatore di vitalità e forza di valori», recita la targa appesa in municipio.
Alle 21 si alza il sipario sul premio dedicato all’attore. In piazza Diaz, quindi, c’è la proiezione di «Baciami stupido», commedia di 123 minuti con la regia di Billy Wilder e interpretata, insieme a Dean Martin, da Kim Novak, Ray Walston, Cliff Osmond, Henry Gibson. La trama del film racconta di un maestro di pianoforte di una cittadina di provincia con il vezzo di scrivere canzoni. Un giorno è costretto a ospitare un famoso cantante, nonché famoso dongiovanni, in casa sua. E’ l’occasione per fargli ascoltare le sue canzoni e tentare la strada del successo ma il rischio che il cantante provi a sedurre sua moglie è troppo forte. Allora il pianista chiede alla cameriera del Belly-Button Caffé, di sostituire per una sola notte la consorte. La proiezione del film è seguita dal dibattito con Gianpiero Consoli, docente dell’Università D’Annunzio.
Il premio cinematografico prosegue domani alle 21, in piazza Diaz, con la proiezione del film «Le rose del deserto», di Mario Monicelli, con Michele Placido, Giorgio Pasotti, Alessandro Haber, Fulvio Falzarano e Moran Atias. Con la motivazione «di aver contribuito a scrivere la storia del cinema internazionale», il regista di 93 anni è il vincitore del premio alla carriera. Premio speciale, inoltre, agli attori Alessandro Haber ed Enzo Marcelli.
Chiude il premio, il 24 maggio alle 21, la proiezione di «La guerra degli Antò», film girato a Montesilvano sulla vita di quattro giovani punk tutti di nome Antonio. Il premio va al regista del film Riccardo Milani, autore di fiction di successo, da «Auguri professore» a «Il sequestro Soffiantini» fino a «Rebecca la prima moglie». Premiati anche i quattro attori, tutti abruzzesi: Federico Di Flauro di Sulmona, Flavio Pistilli di Pescasseroli, Paolo Setta di Bussi e Danilo Mastracci dell’Aquila.
Il premio dedicato all’attore de «I giovani leoni» con Marlon Brando e di «Un dollaro d’onore» con John Wayne, rientra nella Settimana della Cultura organizzata dall’amministrazione comunale fino al 25 maggio. Oggi, quindi, alle 18 prende il via anche la rassegna Aperitivo d’Autore con lo scrittore Alessio Romano, autore di «Paradise for all»: in programma c’è un incontro con gli scrittori emergenti abruzzesi Alessia Muroni, Maurizio Di Fazio, Giovanni Di Iacovo e Cristina Mosca con un reading di Emiliano Torresi. Domani alle 18 la rassegna che abbina la cultura all’enogastronomia, con assaggi di prodotti tipici durante le presentazioni di libri, prosegue con l’incontro con lo scrittore Giovanni D’Alessandro, autore de «Il guardiano dei giardini del cielo».
La rassegna letteraria, il 24 maggio alle 18, continua con la presentazione di «Lo schiaffo», libro scritto da Luigi Carletti e si chiude, il 25 maggio, con l’incontro con Carla D’Alessio, autrice de «L’altra Agata». Al termine di ogni presentazione è in programma il fight reading: un gruppo di tre studenti del liceo scientifico Corradino D’Ascanio di Montesilvano si sfida leggendo racconti brevi e spetta al pubblico votare il più affascinante. In palio ci sono buoni spesa per acquistare libri.
La Settimana della Cultura di Montesilvano si chiude, il 25 maggio, con la giornata dedicata alla poetessa Maria Luisa Spaziani: a lei il premio intitolato a Carlo Di Giacomo. In programma, dopo il dibattito con Carmela Lecce, docente alla facoltà di Scienze sociali dell’Università D’Annunzio, lo spettacolo «Note sull’Angelo» con Susanna Costaglione e la musica del Trio Farrenc.

Sphere: Related Content

Stampa cattolica. L'Avvenire: Quando l'accusa di omofobia viene dispensata gratis.

Le unioni gay hanno "carattere mimetico" e "strutturale fragiità".
(Francesco D'Agostino - L'Avvenire) La dichiarazione della ministra Mara Carfagna di non voler concedere il patrocinio del governo alla manifestazione del Gay Pride ha suscitato le solite prevedibili polemiche, culminanti nell’accusa di omofobia.

Negare il patrocinio equivarrebbe a misconoscere i diritti dei gay, a partire da quello dotato di maggiore spessore simbolico, il diritto al matrimonio. Poco mi interessa, in questo momento, valutare su di un piano strettamente politico l’atteggiamento della giovane ministra (atteggiamento peraltro, non privo di saggezza, a quanto ho potuto percepire dai giornali, anche da quelli più antipatizzanti nei suoi confronti).

Più della questione politica quella che qui si rileva è infatti una questione giuridica ed antropologica, tutto sommato elementare, ma in merito alla quale si continuano a sollevare polveroni ideologici. Riassumiamola in pochi punti essenziali. Primo punto: hanno diritti i gay?

Certamente sì; hanno esattamente gli stessi diritti di cui gode qualunque altra persona umana: sarebbe assurdo il solo dubitarne.

La nostra Costituzione, all’art. 3, stabilisce con limpida fermezza che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Sarebbe difficile immaginare una formulazione migliore del principio costituzionale di eguaglianza. Ne segue che ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali, a causa della loro omosessualità, è per la nostra Costituzione (e per la nostra coscienza civile) intollerabile e va assolutamente rimossa.

Secondo punto: hanno diritto i gay a manifestare pacificamente contro qualsiasi discriminazione venga perpetrata nei loro confronti? Ancora una volta: assolutamente sì (alle consuete condizioni di ordine pubblico che ogni manifestazione deve rispettare).

Terzo punto: hanno diritto i gay ad ottenere il patrocinio del governo per le loro manifestazioni? La risposta è no: tutti coloro che attivano una manifestazione hanno ovviamente il diritto di 'chiedere' il patrocinio, non quello di 'ottenerlo'. Spetta al governo valutare se concederlo, in base a un criterio molto semplice: è in gioco un reale interesse pubblico? Nel nostro caso: è in atto una tale discriminazione nei confronti degli omosessuali, da giustificare a favore del Gay Pride un patrocinio, così altamente simbolico, come quello governativo? La risposta è negativa, a meno che non si diano (ma nessuno oggi ci riesce) esempi concreti di discriminazioni sociali in atto nel nostro paese nei confronti dei gay.

Quarto punto: il mancato riconoscimento legale in Italia delle unioni omosessuali non costituisce obiettivamente una discriminazione nei confronti dei gay? No, a meno che non si provi (e non semplicemente si affermi) il contrario. Ma si tratta di una prova impossibile, perché al diritto non spetta qualificare giuridicamente la vita sessuale dei cittadini (e meno che mai quella dei gay). C’è una sola eccezione a questo principio, quella del matrimonio, che è però istituto strutturalmente eterosessuale, perché fondativo della famiglia (come riconosce l’art. 29 della nostra Costituzione).
La pretesa dei gay di ottenere per le loro convivenze un qualsiasi riconoscimento legale (fino a quello matrimoniale) non ha motivazioni sociali, ma solo psicologiche e simboliche, motivazioni che dimostrano il carattere mimetico delle unioni omosessuali (rispetto a quelle eterosessuali) e la loro strutturale fragilità (un’unione intrinsecamente forte si difende tranquillamente da sola, senza chiedere aiuto al diritto). Quinto punto: chiunque difenda posizioni come quelle cui sopra si è accennato sa bene di prestare il fianco all’accusa di omofobia. Si tratta naturalmente di un’accusa che è ben difficile evitare, in un dibattito così ideologicamente connotato come quello sull’omosessualità. Non si dovrebbe però mai dimenticare che il prezzo per non essere accusati di omofobia sta diventando ormai troppo alto, se è né più né meno che quello di cedere (consapevolmente o inconsapevolmente) all’'eterofobia'. Cosa altro è, in fondo, se non un segno di irriducibile e inaccettabile 'eterofobia' il tentativo di svuotare dal di dentro la realtà antropologica e storica del matrimonio, come unione tra uomo e donna?

Sphere: Related Content

L'omosessualità. La voglia di vivere. La malattia e la morte. Il figlio della Sontag parla di sua madre. Quel che resta di Susan.

E lancia un'accusa contro Annie Leibovitz. Colloquio con David Rieff.
(Enrico Pedemonte) Strano destino quello di Susan Sontag. Celebrata per i suoi romanzi, saggi (è appena uscito in Italia 'Nello stesso tempo'. Saggi di letteratura e politica, Mondadori), rispettata per il suo rigore intellettuale, amata in Europa più che in America per il suo femminismo e la sua radicalità, la Sontag è riuscita per tutta la vita a tenere nell'ombra la sua omosessualità come tutta la sua sfera privata. Dopo la sua morte, avvenuta nel dicembre 2004 all'età di 71 anni, quel velo di discrezione si è lacerato. Prima in modo chiassoso, quando la fotografa Annie Leibovitz, che per anni era stata compagna della Sontag, ha pubblicato alcune foto degli ultimi giorni della sua vita. Più recentemente è stato il figlio della Sontag, lo scrittore David Rieff (foto in alto), a far cadere ogni velo di riservatezza, raccontando in un libro, 'Swimming in a Sea of Death' (nuotando in un mare di morte), i nove mesi di malattia della madre. È un libro che racconta il dolore e il modo in cui il dolore cambia le persone.

Comincia nel marzo del 2004, quando la madre scopre incredula di avere una grave forma di leucemia, lei che nella vita ha già battuto due volte il cancro, prima al seno, poi all'utero. Poi scatta la sua reazione di intellettuale che si ribella alla morte, tenta un trapianto di midollo osseo, va incontro a incredibili sofferenze, muore senza essersi riconciliata con il proprio destino. Lei, che aveva fatto dell'onestà intellettuale e della verità una regola di vita, chiede a suo figlio, e a tutti quelli che la circondano, medici compresi, di assecondarla nella grande menzogna di poter sopravvivere. Alla fine, nelle pagine più laceranti - quasi insopportabili - del libro, il figlio fa allontanare tutti dalla stanza, toglie la camicia da notte alla madre morta e descrive il corpo ricoperto di piaghe, segno che il nuovo sistema immunitario si è ribellato al corpo ospite. "È un libro di domande", dice David Rieff, che ha 55 anni e abita a New York. Lo abbiamo intervistato in un caffè di TriBeCa.

Perché ha voluto raccontare la malattia di sua madre?
"Forse, se avessi potuto avere una conversazione con mia madre e dirle addio, non lo avrei scritto. C'è una frase che Simone de Beauvoir ha usato per il libro su Sartre: 'La cérémonie des adieux'. Ecco, questo libro è la mia cerimonia d'addio".

Sua madre disse ai medici di non essere interessata alla qualità della vita, ma a vivere. Lei cosa pensava di questa scelta?
"Ognuno ha il diritto di decidere sulla propria morte. Non si può dire a nessuno, neanche alla propria madre, come deve morire. Sapevo che stando alle statistiche non aveva molte probabilità di farcela e che sarebbe andata incontro a grandi sofferenze. Aveva sconfitto il cancro in altre due occasioni, ma adesso aveva 71 anni e quel tipo di leucemia le lasciava poche speranze. Dissi a me stesso che quella era la sua scelta e dovevo rispettarla. Il libro racconta le conseguenze di quella scelta".
Sua madre le chiese di non mentire. Ma lei scrive che in realtà non voleva sapere la verità. Come può esserne certo?
"Mi chiedeva continue conferme. Mi poneva interrogativi del tipo: 'Penso di essere più giovane della mia età biologica, vero?'. Formulava le domande in modo che io la assecondassi".

Si era convinta di potercela fare...
"Dopo il trapianto, quando i medici di Seattle le dissero che la leucemia era riapparsa, fu sinceramente sorpresa. Cominciò a urlare: 'Questo significa che sto per morire!'. Mi chiesi come potesse essere sorpresa: dopo il trapianto era stata tre mesi senza poter scendere dal letto, e in quel momento stava soffrendo in modo terribile".

Non le ha detto tutta la verità per aiutare lei, o se stesso?
"Se devo essere onesto fu anche un modo per cercare di essere meno coinvolto. Detto ciò, credo fermamente che lei mi abbia chiesto di assecondarla. Prima del trapianto, vista la decisione che aveva preso, ripeterle che le statistiche erano sfavorevoli sarebbe stata solo una crudeltà. E dopo il trapianto era troppo tardi".

Cosa l'ha indotta a descrivere con tanto realismo lo stato del corpo di sua madre negli ultimi momenti? È stato liberatorio?
"No, non amo le confessioni pubbliche tipiche della cultura americana. È stato difficile scrivere questo libro. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di smettere e restituire l'anticipo all'editore. Ho rinviato a lungo la descrizione della trasformazione fisica di mia madre. Ma alla fine ho capito che dovevo farlo. Altrimenti non sarebbe stato un libro onesto".

Che cosa vuol dire onestà in questo caso?
"Mi chiesi come potevo essere sincero senza raccontare né la mia relazione con mia madre né la sua vita privata. Allora fissai un principio: avrei detto la verità su tutto quello che era successo nel periodo della malattia, ma niente di tutto il resto. Così ho dedicato solo una frase ad Annie Leibovitz e un'altra al difficile rapporto con mia madre. Ma non potevo evitare di parlare del suo corpo. Il mio è un libro sul corpo, e alla fine ho dovuto affrontare l'argomento".

Lei non vuole parlare delle foto di Annie Leibowitz. Ma può raccontare la reazione di sua madre?
"Quando Annie cominciò a scattare quelle foto, che poi ha pubblicato in un libro, mia madre era a malapena cosciente. Non credo che sia mai stata consapevole di quello che le stava capitando. La prima di quelle foto fu scattata quando la leucemia le era già tornata: lei era in barella mentre la stavano portando verso l'aereo per il ritorno a casa. L'ultima immagine è stata presa alla sua salma imbalsamata nella sala delle pompe funebri".

Quale fu la sua reazione?
"Io ero, e sono inorridito. Penso che sia stata una cosa ignobile".

Non poteva opporsi?
"Le dirò una cosa che non ho mai detto ad alcun giornalista: sono in parte responsabile per quelle immagini. Quando la salma di mia madre si trovava nella sala funeraria, quella dove vengono portati i newyorchesi della media e alta borghesia per essere imbalsamati, avrei potuto oppormi. Quando Annie chiese di entrare per fotografare, quelli delle pompe funebri mi chiamarono per avere l'autorizzazione. Mia madre e Annie avevano avuto una relazione complessa, si erano lasciate e rimesse insieme diverse volte, e io pensai che fosse suo diritto scattare quelle immagini. Era un'artista, e spesso gli artisti elaborano il lutto attraverso l'arte. Anche se io e lei non eravamo in buoni rapporti, non mi opposi. Ma se avessi saputo che avrebbe pubblicato quelle immagini, mi sarei comportato diversamente".

Lei crede che quando si muore ci siano degli obblighi verso gli altri?
"No, non credo che mia madre dovesse qualcosa a qualcuno. Ognuno ha il diritto di morire come vuole, con generosità o con egoismo. Ma questo non significa che non si paghi un prezzo. Uno dei prezzi che ho dovuto pagare è stato scrivere questo libro".

Il libro è stato un modo per dire a sua madre le cose che non ha potuto dirle da viva?
"In un certo senso sì. In quella situazione non ti puoi neanche permettere di dire a una persona che l'ami, almeno non con il tono giusto. Perché sarebbe come dirle che sta morendo, ma non puoi farlo perché lei non vuole saperlo. Ci sono cose che avrei voluto chiedere a mia madre, altre di cui mi sarebbe piaciuto discutere. E invece non ho potuto fare nulla di tutto ciò. Pur dopo nove mesi di sofferenze, dal punto di vista del rapporto con me è come se fosse morta in un incidente aereo".

Sua madre non ha mai accettato la fine che stava arrivando...
"Se ne è andata strillando contro la morte. Ma alla fine non ha sofferto molto, né fisicamente né psicologicamente, almeno secondo i medici. A un certo punto il corpo svanisce, si spegne. Ma non lo ha mai accettato. Il mio libro è la storia di una persona per la quale morire è come venire assassinati".

Perché ha deciso di seppellirla nel cimitero di Montparnasse, a Parigi?
"Lei non ha lasciato istruzioni, ha solo chiesto che alla sua cerimonia funebre fosse suonato uno degli ultimi quartetti di Beethoven. Ma questa era una sua vecchia fantasia, l'ho trovata anche nei suoi diari, nelle pagine dell'adolescenza. Quindi toccava a me decidere. Pensai che ci sono poche cose al mondo più brutte dei cimiteri di New York, quei campi spettrali nel Queens. Al contrario Montparnasse e Père-Lachaise sono molto belli, e Parigi era la sua seconda casa. Così le ho comprato un posto perenne a Montparnasse. Il sindaco di Parigi è stato molto gentile".


Lei sta curando la pubblicazione dei diari di sua madre. Che cosa le hanno rivelato?
"Il primo dei tre volumi, che sarà presto pubblicato, riguarda la lenta formazione della sua personalità. Va dal 1946 al 1964, cioè dall'adolescenza fino all'inizio del successo a New York, quando aveva 30-31 anni. Sembra quasi una storia ottocentesca, quella di una persona che viene dalla provincia e dedica tutta se stessa per diventare un 'grande' nel mondo delle arti. È sorprendente quanto sia riuscita a tenere riservata la sua vita personale: non ha mai negato nulla, ma ha sempre rifiutato di essere catalogata. Credo che abbia fatto un'allusione alla sua omosessualità solo in un profilo pubblicato dal 'New Yorker' dieci anni prima di morire. Nella prima parte del diario lei descrive il suo risveglio sessuale".

È stato un impegno doloroso per lei?
"Sì. Se lei non avesse ceduto i suoi diari alla University of California Los Angeles, creando così i presupposti perché diventino pubblici, non so se lo avrei fatto. Certo non ora. Ma lei ha deciso così, e io sono l'unica persona che conosce tutta la storia, quindi ho pensato che dovevo occuparmene. Ma non voglio pubblicità su questo, ho già detto agli editori che non darò interviste. Ho scritto una breve prefazione al primo volume, e lì c'è tutto quello che ho da dire".

Nel libro lei scrive che in certi momenti avrebbe voluto morire al posto di sua madre? Non le sembra un sentimento quasi innaturale?
"Lei amava la vita, la consumava, voleva andare in ogni ristorante, vedere ogni commedia, ogni film, ogni concerto, ogni museo che valesse la pena, e al suo confronto io mi sono sempre sentito una lumaca. Faccio molte cose, ma non ho mai avuto quel tipo di appetito per la vita. È come se lei fosse capace di fare un uso migliore del mondo. Chi sopravvive si sente in colpa, e manifesta questo sentimento in modo irrazionale e un po' psicotico".

Pochi mesi prima di ammalarsi, in un'intervista a 'L'espresso', sua madre disse che se Bush avesse vinto nuovamente le elezioni nel 2004, sarebbe stato necessario scappare dall'America...
"Non mi sorprende. Non credo che avesse completamente torto".

Come reagì quando Bush fu rieletto?
"Non credo che l'abbia saputo. Quell'anno, all'inizio di novembre, non era più molto cosciente".

Sphere: Related Content

Confindustria. Neanche una parola sull'operaio Marcegaglia morto.

(Malastampa) L'assemblea annuale di Confindustria è considerata la prima notizia del giorno.
Lunghi resoconti (repubblica, corriere e stampa) sul discorso del nuovo presidente Marcegaglia, che vuole un paese di centrali nucleari, termovalorizzatori e gente china a lavorare. Si può trovare eventualmente un articolo che ci spiega il cambio di look del neopresidente. Neanche una parola su Girolamo Di Mauro, il lavoratore del tubificio Marcegaglia morto l'altro giorno, nonostante l'assemblea di confindustria, magnanimamente, gli abbia concesso un minuto di silenzio e un applauso.
---

Sphere: Related Content

Bullismo. «Ami la danza? Allora sei gay».

Un bambino di una quinta elementare si rifiuta di tornare in classe perché teme le ritorsioni dei bulli.
(Luca Fazzo - Il Giornale) Il Billy Elliot di Città Studi ha 11 anni e sta per finire la quinta elementare. Ma in classe non ci vuole più andare. Continua a studiare, cerca di portare il programma alla sua conclusione naturale, ma di rimettere piede in quella classe «Billy» proprio non se la sente. «Billy» è vittima di un bullismo pesante ed ostinato. E, per incredibile che possa sembrare, a scatenare i maltrattamenti è stata la passione di Billy per la danza. Quando ha scoperto di amare il ballo, il bambino lo ha raccontato in classe, con l’entusiasmo e l’allegria di chi vuole condividere con gli amici una scoperta. Era meglio che non lo avesse mai fatto. Perché gli altri maschi della classe lo hanno marchiato immediatamente: «Sei gay». L’equazione «ballerino dunque omosessuale» gli è piombata addosso. E per «Billy» non c’è stata più pace.

La scuola dove tutto accade è un’elementare di buon nome, ben frequentata. Eppure, nel racconto del bambino e della sua famiglia, quel che colpisce è l’apparente sordità della scuola alle richieste d’aiuto lanciate dal ragazzo. È stata l’indifferenza delle insegnanti e dei vertici scolastici, racconta l’avvocato incaricato dalla famiglia, a rendere inevitabile la decisione di ritirare almeno per un po’ «Billy» da scuola: «A quel punto - dice il legale - mancavano le condizioni minime perché il bambino potesse entrare in classe, sapendo perfettamente quel che l’attendeva».

La prima lettera del legale alla direttrice è dell’11 aprile: «I miei assistiti hanno segnalato mesi orsono alle insegnanti che il minore era oggetto di continua derisione da parte di nove compagni per la decisione di partecipare a un corso di danza. Ad onta delle richieste di intervento a suo tempo inviate al corpo docente, la situazione è rimasta pressoché invariata». La direttrice della scuola risponde programmando una serie di interventi teoricamente destinati a risolvere la situazione che però continua a peggiorare: il 13 maggio l’avvocato scrive nuovamente alla responsabile dell’istituto, «gli interventi da lei effettuati non hanno sortito gli effetti sperati, infatti i bulli - passati nelle more da nove a dieci - continuano imperterriti a deridere il minore e a farsi belle dell’Autorità». Nella lettera, l’avvocato dei genitori di «Billy» minaccia di chiedere i danni alla scuola se le prepotenze ai danni del bambino continuassero a venire tollerate. Ma non cambia niente.

Anzi, a leggere l’ultima lettera del legale alla direttrice, si ha la netta impressione che a ritrovarsi sotto accusa sia stato, paradossalmente, «Billy». «I signori E. mi comunicano che ieri lei ha convocato il minore, anziché i bulli, facendogli presente che non avrebbe effettuato alcun intervento diretto sugli artefici delle molestie. I miei assistiti sottoporranno il caso alle competenti autorità e la riterranno personalmente responsabile» di ogni danno causato a «Billy».

E adesso? Fortunatamente tra due settimane l’anno scolastico sarà finito, l’anno prossimo «Billy» andrà alle medie. Con compagni meno ottusi, spera: anche perché di smettere di ballare non ha, giustamente, alcuna intenzione.

Sphere: Related Content

Ha un passato a luci rosse la prossima lady Ricucci. Il video.

(Ntozie Tiscali) "Con Claudia è una cosa seria, sono frastornato e felice. Non sapevo neanche chi fosse, lei mi ha conquistato perché è solare e allegra". Parole dell'ex furbetto del quartierino Stefano Ricucci, che qualche giorno fa ha annunciato il fidanzamento e il prossimo matrimonio con la stellina televisiva paraguaiana Claudia Galanti. La frase "non sapevo neanche chi fosse" avrebbe dovuto far presagire qualche ombra sulla coppia. Quell'ombra si chiama Sebastian Escalada, ex fidanzato di Claudia con la passione per il sesso e il videotape, vendicativo al punto giusto da diffondere il filmato delle proprie evoluzioni sessuali con la Galanti.

Video hard e guerra in tribunale - Il filmino porno fatto in casa vede una giovanissima e già disinvolta Claudia Galanti salutare il fidanzato-regista a bordo di una piscina, mandargli baci per poi giocare a scoprirsi il seno. La seconda parte lascia molto meno all'immaginazione, si apre con una ripresa di Claudia Galanti completamente nuda, distesa su un letto, e prosegue con una serie immagini esplicite di cui è coprotagonista proprio Escalada. Distribuito nel mercato porno, il video è al centro di una guerra legale tra le parti e tiene banco sulla stampa paraguaiana.

All'altare in Belize - Stando alle foto delle tenere effusioni pubblicate da Chi e alle dichiarazioni di amici della coppia, Stefano Ricucci sarebbe completamente cotto di Claudia Galanti. Il finanziere romano, già consorte di Anna Falchi, è deciso a sposare la stellina tv centroamericana in Belize, dove il matrimonio è possibile già 15 giorni dopo la separazione di uno dei due futuri coniugi.
---


Sphere: Related Content

Trombato Nichi Vendola. Prc: Ferrero ha il 48%, Vendola il 40.

Non c'è partita. Il caso delle tessere gonfiate...
(Affari italiani) "Le firme alla nostra mozione sono 104, ovvero il 48% dei consensi del Comitato politico nazionale, Vendola è al 40%, le altre mozioni si fermano al 12% dei consensi". E' questo il quadro di adesioni alla mozione che fa riferimento all'ex ministro Paolo Ferrero, che viene delineato da Ramon Mantovani, e che lo porta a fare questa previsione: "Vinceremo il congresso in 3/4 delle regioni e proporremo una gestione unitaria del partito e non della maggioranza". Una posizione che Mantovani definisce contraria rispetto a quella di Nichi Vendola che, spiega, "ha in mente di esprimere una direzione maggioritaria". Tanto è vero, aggiunge, "che nella nostra proposta la scelta del segretario è affidata al Cpn. Loro hanno già deciso e non si è mai visto nella storia dei comunisti che qualcuno alzasse il dito per dire 'voglio essere il segretario'".

Ma "il punto politico del congresso di luglio è questo", prosegue l'esponente del Prc, "se noi vinciamo, Rifondazione continuerà ad esistere e si comincerà a costruire l'unità della sinistra. Se dovesse vincere la mozione Vendola", allora "procederebbero con la costituente di un nuovo soggetto e questo, ovviamente, alimenterà altre costituenti a partire da quella comunista, dividendo la sinistra. Su questo si vota al congresso: se Rifondazione deve continuare ad esistere". Però Vendola afferma che il Prc non si deve sciogliere? "Vendola - osserva Mantovani - dice che bisogna ripartire dal Prc per fare una costituente della sinistra". Insomma, "non dice con chiarezza quello che invece chiaramente dicevano e volevano fare Bertinotti e Giordano: il giorno dopo il voto avrebbero convocato la costituente per lanciare il nuovo partito. Un fatto compiuto che, mi dispiace per loro, è fallito".

Sphere: Related Content

Luca Barbareschi. «Abbiamo vinto occupiamo la Rai».

Parla Luca Barbareschi, attore, produttore e deputato del pdl.
«Come ha fatto prima il centrosinistra. e per la direzione generale.
Cominciamo aguardare anche fuori dall’italia...» così parla l’uomo che disse: «An, in viale mazzini, ha portato solo mignotte».
(Vittorio Zincone - Magazine del Corriere della Sera) Luca Barbareschi, 51 anni, star riempi-teatri col Gattopardo, importatore delle opere di David Mamet in Italia, pioniere della tecnonavigazione informatica, nonché ballerino e cantante nei musical londinesi, ora è anche deputato del Pdl: in quota Fini, con liaison berlusconiane. Quando ho pensato per la prima volta
di intervistarlo, l’attore-regista-manager-produttore era uno dei nomi papabili per il ministero dei Beni Culturali. Quando ho contattato il suo assistente, aveva ridotto le aspettative ed era in lizza per un semplice sottosegretariato. Nel momento in cui abbiamo fissato la data dell’incontro, la partecipazione al governo era sfumata, ma restava la possibilità di un assessorato alla corte del
sindaco Gianni Alemanno. Quando gli ho citofonato per raggiungere il suo attico romano (zona Ghetto), il Campidoglio ormai era un miraggio. A fine intervista, l’ex conduttore del Grande Bluff, mi ha comunicato che anche la presidenza della Commissione Cultura sarebbe andata a qualcun altro. Barbareschi, veterano dello showbusiness, neofita del Teatrone della politica: «Ho rinunciato al film di Ron Howard perché pensavo di poter dare una mano a riformare il Paese. Ma non mi stupisco di nulla, ci ho scritto un film (Il Trasformista), su come funzionano certe cose, quindi...».
Sembrano funzionare come il gioco delle tre carte.
«Durante tutta la campagna elettorale, Alemanno mi ha presentato come il futuro assessore alla Cultura di Roma».
Poi ha scelto Umberto Croppi, amico antico, nonché “spin doctor” dell’ultimo trionfo.
«Croppi è bravo. Chapeau. Ma insomma, ha lavorato pure con Rutelli».
Sgarbi potrebbe atterrare sulla Capitale...
«Sì, sì, dopo essere stato cacciato da Milano».
Il sottosegretario alla Cultura, invece...
«È questo Giri».
Si chiama Francesco Giro.
«Uomo del cardinale Camillo Ruini. Mi chiedo se si voglia seguire il modello Sarkozy o sarkofaghy».
Si dia una risposta.
«Mi pare sarkofaghy. Si annunciano grandi cambiamenti, ma alla fine sale in cattedra il Gattopardo: per non cambiare nulla».
Forse, non avendo una militanza di partito alle spalle, lei ha pagato le molte dichiarazioni poco allineate degli ultimi mesi?
«Quando mi hanno candidato sapevano chi ero».
Lei si è detto favorevole alle adozioni da parte delle coppie omosessuali.
«In Europa esistono. Questo è il governo con meno persone che rappresentano il
cattolicesimo. Non mi pare Berlusconi sia un baciapile».
Ma al Cavaliere nessuno può sfilare la poltrona da sotto al sedere. A lei, sì.
«Magari dirò cose sconvenienti, ma insomma... i leader principali del Pdl, Fini e Berlusconi, sono separati e hanno figli da mogli diverse».
Lei si è anche detto contrario al giannilettismo. Sembra autolesionismo.
«Con Letta ho un buon rapporto. Ma il Paese rischia di morire di accordi bipartisan. Il centrodestra ha vinto? E allora mettiamo i nostri uomini nei ruoli chiave e proviamo a governare».
Un’altra sua sparata di un paio di anni fa: «An in Rai ha portato solo mignotte».
«In pratica ho fatto da Cassandra».
Di Cattaneo, uomo vicino al centrodestra, ha detto: «Un poverino».
«Mi dovrebbero ringraziare. Ho chiarito prima di altri che non aveva le competenze adatte per guidare la macchina della Rai. L’anno scorso, poi, dissi che la Rai non avrebbe dovuto permettere a Endemol di fare banchetto con il budget della tv di Stato. Ricevetti una lettera di richiamo etico da parte del direttore generale Cappon. No dico, richiamo etico! Ora è Cappon a beccarsi i
richiami... ma bipartisan, per il caso Travaglio-Schifani».
A proposito di etica. La sua difesa di Saccà, intercettato mentre parlava con
Berlusconi di attrici da raccomandare, era spericolata.
«Quelle intercettazioni erano una trappola».
Saccà...
«È una risorsa che non va bruciata».
... non ha fatto una bella figura.
«Telefonate di quel tipo, in cui si segnalano attrici e attricette, le fanno e
le ricevono tutti».
Questo non vuol dire che sia una bella cosa.
«Quando dirigevo il teatro Eliseo, a Roma, mi chiamavano da destra e da sinistra. Vado fiero del fatto di non aver mai favorito un raccomandato».
Secondo lei il centrodestra dovrebbe occupare con nomine fresche la Rai?
«Certo. Come ha fatto il centrosinistra».
Un nome per la direzione generale?
«Cominciamo a guardare anche in Europa, come fanno tutti: in Spagna l’italiano Paolo Vasile sta facendo grandi cose con TeleCinco».
A parte i possibili outsider europei?
«Molti manager tv, italiani e bravi, ormai si sono messi in proprio o lavorano per i privati».
Parla di Giorgio Gori e Marco Bassetti?
«Loro sono parecchio in gamba. Ma non amo il totonomine».
Non è che spera di rientrare nella prossima infornata di incarichi Rai?
«No. Non mi pare ci sia il clima per una nomina come la mia. E a destra la lealtà non viene ripagata come a sinistra».
Che cosa intende dire?
«Che la sinistra con tutti i vari attori militanti come Claudio Bisio o Paolo Rossi è stata generosa».
Si lamenta? Vorrebbe più generosità nei suoi confronti?
«Ma no, guardi. Io ho parlato con i numeri uno: Berlusconi e Fini. Gli ho messo in mano i miei progetti per la Cultura in Italia».
Fine del finanziamento pubblico al cinema.
«Certo, per evitare che spariscano soldi e che il cinema sia legato ai partito. Vedremo come va a finire. Sono abituato a portare a casa risultati: a diciott’anni risparmiavo i cents facendo il cameriere in America, ora ho: la casa dove vivo, quella di Filicudi, il mio studio. Una società, la Casanova, che fattura 20 milioni di euro e produce una decina di film l’anno. Non ho debiti,
sono trasparente e ho fatto una fondazione contro la pedofilia».
Un tema che le è caro. Anche lei ha subito una violenza da bambino.
«Sono stato violentato, da un prete. Al di là dei danni ai singoli esseri umani, si deve capire che la pedofilia è un danno di macroeconomia: tanti bambini molestati, fanno una generazione che cresce con una struttura debole. Ora su questo argomento si è svegliato pure Papa Ratzinger».
La sua infanzia?
«I miei si separarono quando ero piccolissimo. Io ho vissuto con mio padre a Milano e ho girato molti anni per i Paesi del Medio Oriente dove lui costruiva strade. A diciotto anni...».
Parliamo del ’74, la Milano delle occupazioni...
«Quelli del Movimento mi stavano un po’ sulle palle. Ricordo alcune riunioni maoiste in una villa in Engadina. Roba senza senso. Comunque a 18 anni mio padre mi disse che se volevo fare l’università mi aiutava, se volevo fare l’attore mi dovevo arrangiare. Mi arrangiai».
Come?
«Cominciai a lavorare gratis con Virginio Puecher. Gli facevo da assistente alla regia nell’Enrico V. Il 20 agosto dell’anno della maturità, ho venduto la Vespa e sono partito per Chicago, sempre con Puecher. Poi mi sono trasferito a New York. Facevo il cameriere e contemporaneamente collaboravo con Frank Corsaro al Metropolitan e con Lee Strasberg dell’Actor’s studio».
Era una New York parecchio swinging.
«I sei anni più belli della mia vita. Il re era Oliviero Toscani. Per un po’ ho dormito a casa sua e lui mi portava a queste cene pazzesche con Lou Reed, Mick Jagger, David Bowie...».
Chi più ne ha più ne metta. In quel periodo c’era anche Isabella Rossellini a New York.
«Con lei ho avuto un flirt durato una sera. Io ero pazzo di lei, anche a causa del suo cognome. Mi dichiarai, mi disse che ero troppo ambizioso. Allora collaboravo con la Rai e Gianni Minà».
Quando rientrò in Italia?
«All’inizio degli anni Ottanta. Poco più che ventenni, con Massimo Mazzucco realizzammo Summertime e al Festival di Venezia vincemmo la sezione “De Sica”. In America ero andato a trovare pure Spielberg. Lo avevo beccato che giocava a scacchi da solo. Un’illuminazione. Incontrare uno che a trent’anni aveva già fatto così tanto, mi aveva spronato. Pensai: “Perché lui sì ed io no?”».
È una lezioncina per i giovani dell’Italia gerontocratica?
«A me non piace la retorica filo-giovani. Sono per recuperare tutte le intelligenze vive fino a 90 anni. Soprattutto quando poi i cosiddetti giovani sono rappresentati da persone come la deputata del Pd, Marianna Madia. Ad ascoltarla a Porta a porta qualche giorno fa, mi è venuto naturale difendere il veterano Ciriaco De Mita. Detto ciò, sì, i giovani si dovrebbero svegliare».
I giovani più bravi nel cinema?
«Mi piacciono Elio Germano e Matteo Garrone».
Le giovani?
«Io stesso ne ho lanciate parecchie. Con Roman Polanski scegliemmo Nicole Grimaudo per un Amadeus teatrale. Ma poi anche Gabriella Pession e Bianca Guaccero».
I sopravvalutati?
«In questo momento Toni Servillo mi pare sovraesposto. È bravo e serio, in teatro e mi pare un po’ di maniera. A me non piace nemmeno il linguaggio filmico di Nanni Moretti».
E l’attore Moretti?
«È inesistente. Non ti dimentichi mai che hai davanti Moretti. Io sono per la mimesi. Come attore ho dato il meglio quando ho fatto il Grande Bluff. Truccato e travestito, mi intrufolavo nelle trasmissioni altrui: nella prima serie non mi hanno beccato mai».
Reputa se stesso un buon attore?
«In teatro non mi batte nessuno. Il Gattopardo del Quirino ha il record d’incasso degli ultimi anni».
Le fiction che produce e che interpreta non sono sempre dei successi incredibili, però. La Rai sospese Giorni da leoni 2.
«Quella fiction la uccisero. Capita anche che chi pensa i palinsesti faccia scelte sbagliate».
Morando Morandini, il critico cinematografico, ha detto che lei, come attore... ha sbagliato mestiere.
«Morandini ha cominciato ad odiarmi all’inizio degli anni 90. Eravamo a Mosca, io producevo un film del russo Galin. Nella prima scena si diceva: “Lenin è peggio del re dei Tartari”. I critici de sinistra, tra cui Morandini, si alzarono e se ne andarono. Diciamo che sono sempre stato socialista. Ma i radical chic non mi hanno mai adottato».
Questo sembra anche il motivo per cui si è buttato a destra. Perché secondo lei non l’hanno adottata?
«Sarà che a differenza di altri mi sono dichiarato socialista fino all’ultimo giorno di vita di Bettino Craxi. Molti hanno rinnegato...».
Di chi parla?
«Quello che mi ha fatto più impressione è stato Gabriele Salvatores. Claudio Martelli, che ama il teatro, trovò un miliardo per il suo Elfo. Lui sembra essersi scordato l’appartenenza al Psi. Voglio bene a Gabriele e negli anni Ottanta abbiamo fatto molte cose insieme, ma insomma...».
I socialisti le chiesero mai di fare politica?
«Ai tempi di Mani pulite. Ricordo lunghe discussioni sul mio terrazzo con De Michelis e i repubblicani La Malfa e Cisnetto sul da farsi».
È vero che lei è uno dei primissimi frequentatori dell’Ultima spiaggia, lo stabilimento vippissimo dalle parti di Capalbio?
«È vero. Ci andavo prima che la sinistra chic se ne appropriasse. Chissà se chi va lì oggi sa che i proprietari sono di destra?».
Lei ha un clan di amici?
«Pochi, poco noti, ma decennali: Beppe, Fabrizio, Susanna e Aureliano».
Nessun politico?
«Gianni De Michelis. Ma dai socialisti non ho mai avuto un favore».
Come è il suo rapporto con Fini?
«Ottimo».
Con Berlusconi?
«Gli parlo da amico. Una volta è venuto a trovarmi in camerino al teatro Manzoni...».
Lo sa che è così che ha incontrato la moglie Veronica Lario?
«La sera siamo stati a cena fino alle 4 di notte».
A cena col nemico?
«Goffredo Bettini».
Alemanno dovrebbe mantenere Bettini alla direzione della Festa del Cinema di Roma?
«Alemanno valuti bene quali alternative proporre a quel che ha fatto Veltroni».
Lei la abbatterebbe la famosa teca dell’Ara Pacis di Meier?
«Non la amo. Ma prima di spendere un euro per distruggere un muretto, mi preoccuperei di fornire mezzi pubblici sicuri».
L’errore più grave nella carriera di Barbareschi?
«Parlare troppo».
La svolta che le ha cambiato la vita?
«Decidere di affrontare con le sedute di gruppo i miei problemi di fragilità interiore».
La canzone della vita?
«Little wing di Jimi Hendrix. Una delle prime canzoni che ho provato a suonare con la chitarra».
Il film?
«Otto e mezzo di Fellini, su tutti».
Cultura generale. “Dolente fulgore/ mite regina/ misteriosa malia/ polvere di stelle”, chi l’ha scritto?
«Non ne ho idea».
Sono versi del ministro della Cultura, Sandro Bondi. Quanto costa un litro di latte?
«Prendo quello di soia. Tre euro».
Che cosa si intende per podcast?
«Un file scaricato in Rete».
I confini dell’Afghanistan?
«A Nord... la Russia».
No.
«Vabbè... ci sono quelle repubbliche ex sovietiche».
È vero che da molti anni tiene un diario quotidiano?
«Sì. Ci appunterò anche queste ultime domande del cavolo».

Sphere: Related Content